"Armstrong chi?! Quello che è andato sulla luna?"
Il tour, completamente (e apparentemente- si legga fra le righe) dominato da un americano texano spocchioso, riesce a riservare ancora diverse emozioni.
Non da Ivan Basso, ormai novello Godot dei giorni nostri, che fra proclami e difficilmente dissimulate speranze, non si separa neanche in caso di invasione di cavallette dal totem giallo (non attacca, non difende, non scatta, non si stacca), nostro malgrado.
Totem giallo che diventa sempre più antipatico. A parte le sue notorie amicizie col guerrafondaio compaesano inspiegabilmente (?) eletto re del mondo, a parte che sono sei anni che vince (e che palle) a parte la fondazione di beneficenza creata ad usus et consumo della sua immagine, incrementando l'aura buonista che gli si conferisce d'ogni parte (fai pure beneficenza, ma non spiattellarlo a ogni piè sospinto e sopratutto non farti disegnare il braccialetto della fondazione dalla n*ke), a parte Sheril Crow (moglie: più inquadrata lei del gruppone maglia gialla), posso anche lodarlo per aver sconfitto il cancro (e da lì è diventato, oggettivamente, un mostro), ma non ci si comporta da campione parlando di 'dream team' o facendo la volata per il terzo posto (e impedendo a gregari e onesti operai del pedale di mettersi in mostra) .
Anyway, sta visibilmente invecchiando, le occasioni per attaccarlo, anche sui nervi, non mancano.
Probabile che vinca, a me onestamente frega poco, io non dimentico quando arrancava anni fa sulle montagne e di classe e carisma non aveva neanche un briciolo.
Continuo a preferirgli il quadro barocco-gotico-decadente-snob d'un Jan Ullrich incartapecorito che il viale del tramonto l'ha imboccato da diversi secoli (quello che vediamo ora altro non è la proiezione olografica d'un gregario di Alfredo Binda scampato ai bombardamenti del '46, che da allora non smette di correre. E' Auro Bulbarelli che ci fa credere che sia Ullrich).
Nota di colore, visto che ho nominato Crow e Bulbarelli.
Fantastico Bulbarelli.
'Sheril Crow non fa country, come erroneamente ho detto ieri... E' un'icona del soft-rock... soft-pop... Cassani puoi aiutarmi?'
'Non cvedo, Auvo...'
...
'Un nostro spettatore dice che Sheril Crow è l'antesignana di Britney Spears e Alanis Morissette'
Va bene, Auro, ora riposati.
Torniamo al tappone di oggi, in modo tale da poter riversare la retorica epica che solo il buon vecchio paceallanimasua De Zan senior ci ha scientemente insegnato.
Tappone sì, tappone di montagna, storico. L'arrivo a Briancon è leggenda: dominio di Bartali, vittorie di Coppi, trionfi di Merckx (lui cannibale), revanscismo francese, Marco Pantani con le ali alle ruote quando buttava via la bandana e la parabola discendente era ancora al di là da venire.
Miguelon che controlla il gruppo con ferma autorità.
E' il giorno delle rivincite. 173 Km di saliscendi, e al km 31 si stacca un gruppetto di 6-7 fuggitivi. Botero (nella foto), Vinokourov, Caucchioli.
Caucchioli merita un discorso a parte.
Nessuno ha mai visto Caucchioli. Caucchioli non vince mai una tappa, non è mai nei primi dieci in classifica, non è mai al dopogiro, pregiro, dopotappa, durantetappa, ospiteinstudioalladomenicasportiva.
Però quando c'è una fuga c'è Caucchioli, nel gruppone c'è Caucchioli, nel gruppo maglia gialla c'è Caucchioli, nella volata c'è Caucchioli.
Sono sicuro di aver sentito da Bulbarelli, durante la tappa dolomitica Aigueille de Saint Fregnac-San Giacomo delle Vallinfiore, che Caucchioli stava in testa a 3'04'' dal gruppone, alla cui coda c'era Caucchioli mentre il gruppo della maglia rosa Caucchioli era distanziato di 4'54''.
Intanto in coda Caucchioli era caduto e Caucchioli stava faticando in salita.
Sono certo che Caucchioli è un espediente narrativo ideato da Cassani quando è troppo ubriaco di grappa alpina e non distingue uno scoiattolo dal tipo che vestito da elefante incita Garzelli a non mollare.
In tutto questo Bulbarelli è, ovviamente, correo.
Dicevo, Vinokourov il kazako, grande promessa della T-Mobile, ieri clamorosamente deludente, fragorosamente crollato, ha il dovere di riscattarsi, a costo di sputare il sangue. Compagno di fuga Santiago Botero, ex campione del mondo, discreto cronoman, discreto scalatore, discreto in tutto. Troppo discreto. Outsider di natura.
Colombiano: perché rimarco le nazionalità? Evidente: questi due ragazzi sono l'orgoglio d'un intero paese (Botero un po' meno, la Colombia ha altri discreti ciclisti), paesi dalla tradizione del pedale pari a zero. Addirittura il Vino ha fatto sì che il ciclismo diventasse, in breve, il terzo sport kazako in assoluto.
Ai confini dell'impero.
In breve i due seminano gli altri. Sul Telegraphe (colle impervio) resiste Pereiro.
Si passa sul Galibier e Pereiro non c'è più. Galibier, cima diabolica, durissima, che non perdona nessuno. Selezione durissima.
Vinokourov scatta, si isola, lascia Botero da solo.
Non riesco ad abbandonarlo anch'io.
Perché Vinokourov ha stile, classe, sa stare in bicicletta, è un piacere da vedere.
Botero, invece, guardatelo: suda, ha una maschera disegnata sul volto che sembra sempre sorridere d'un sorriso amaro. La testa sempre storta a destra mentre s'impenna la strada. Pedala come un forsennato con un tale modo inguardabile di roteare la caviglia... E spesso, guarda nel vuoto e parla da solo.
In una tale impresa disumana, scalare un colle così duro, Botero è il più umano di tutti. E' vicino a ognuno di noi ciclisti della domenica che imprechiamo al vuoto quando al 10°km inizia il falso piano, quando l'alcool della sera prima si fa sentire prepotente nelle gambe, quando le 20 sigarette quotidiane ti impediscono il respiro. E ti agrappi solo alla forza interiore che trovi, chissà dove, dentro di te. Quella forza che non sapevi di avere.
Botero sembra sempre allo spasimo.
Botero è un outsider, promesse non mantenute chissà perchè chissà come, obiettivi a portata di mano non raggiunti chissà perchè chissà come, colpi di genio che nascono inaspettati dal nulla.
Chissà perchè chissà come.
Un outsider, come noi.
Il gruppo del texano spocchioso è lontano, i minuti arrivano a 4, li lasciano fare, tanto, la maglia gialla non è in pericolo.
Finisce il Galibier e Santiago ha limitato i danni: 'Vino' è a 46'' e in breve lo raggiunge.
Vino con la forza della disperazione ha fatto tanto, ha dato una dimostrazione di forza (tardiva, dopo la caduta di ieri) devastante, ha dimostrato che il debito d'ossigeno di ieri era solo un episodio.
Merita obiettivamente di vincere la tappa, e il maligno dio del pedale, che tante volte ha operato in nome di inspiegabile ingiustizia (ricordate Di Luca coi crampi al Giro?), sembra volerci mettere il ditino anche questa volta: si stacca il sensore-microchipdenossocchè vicino alla ruota posteriore; se va a finire nei raggi è la fine.
Attimi di panico, ma l'ammiraglia in breve risolve il problema.
Discesa lunga (3o km) e vertiginosa, a 50-60 km/h: a 1 km dall'arrivo entrambi vogliono la tappa, Botero è davanti, segue a ruota il Vino. Sembra un inseguimento su pista, Botero sta quasi in surplace ad aspettare lo scatto del kazako... Attimi interminabili, tifo Botero, Vino scatta ai 500 metri, Botero si ferma e lo lascia vincere senza opporre più resistenza.
140 km di fuga.
Non riesco ad essere dispiaciuto.
Anzi.
Ai confini dell'impero americano sono nati i due piccoli eroi di oggi, che sono stati i dominatori, almeno per un giorno, d'un tour che ha il suo imperatore, guarda caso, americano anch'esso.
Rimane l'immagine d'un colombiano che urla a Santiago di non mollare sul Galibier.
La materia dei sogni.
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