Mille domande, mille risposte amare.
8/3/07
Non sono ancora le due quando un milione di domande ancora mi separano dal momento in cui finalmente troverò poche ore di pace transitoria prima che un altro inutile giorno di Lisbona si riproponga ai miei occhi. Alla mia mente stanca.
Questa settimana, che non è ancora nemmeno entrata nel meriggio, mi ha fin troppo posto di fronte a constatazioni amare e riflessioni cupe come non mi accadeva, veramente, da quando avevo 16 anni.
Una domenica significativa, ad ascoltare un tizio con un contrabasso incapace di tenere la ritmica insieme ad uno svizzero allo xylofono.
Paradigmi del dilettantismo.
Sullo svizzero preferirei chiosare con un transeat eloquente: l’agguerrita turma di ventenni infoiate al seguito causa suo indiscutibile fascino non mi lascia più basito di come rimasi quando un essere si dimostrò finalmente ed irrimediabilmente permeato da inutile superficialità (o superficiale inutilità, che è ben diverso, e non antitetico, anzi, nel soggetto in questione l’andatura a braccetto dei termini è indiscutibile, ma non divaghiamo), confidandomi di essersi scopat* il proprio maestro di Latinoamericano.
E va beh, l’homo erectus per passare a sapiens qualche copulazione spuria l’avrà pure vissuta.
L’altro, il contrabassista, dopo 8 anni di conservatorio e l’affermazione tutt’altro che leggera "io faccio jazz", è il prototipo dell’alternativo per sentito dire, quello che a 18 anni cause manie di protagonismo, aria trasandata, amicizie sbandate, barba incolta, chitarra in spiaggia con musica giusta, sfida all’istituzione costituita mediante consumo erba alla luce del sole, professione dichiarata di comunismo in una qualsiasi provincia italica è il guru indiscusso di orde di bambinetti in lotta aperta col mondo.
Il Tizio che ascoltava Caio quando Sempronio doveva ancora farsi le seghe.
Il problema è che il Sempronio in questione sono sempre stato IO, e vi assicuro che molto prima di iniziare a farmi le seghe ascoltavo quello che ascoltava Caio quando iniziò a suonare. E si dà il caso che Sempronio, ancor prima di ascoltare gli avi di Caio, suonava il suo strumentino.
Ma Sempronio non sbandiera i suoi gusti musicali, si fa la barba ogni mattina (e ieri pure di sera), ha i capelli corti, non si loda per come suona (anzi), si veste bene e non fa professione militante di fede politica. Non suona cacofonie spacciandole per jazz, post-cazz o vaffancul.
Di fronte al contrabassista si stagliava un’oceanica folla di pseudo-alternativi al seguito, novello Artù contorniato da cavalieri sieropositivi (cit., anch’essi per sentito dire, ovviamente) in religioso silenzio; la capacità di critica difetta a Sanremo, figurarsi tra quattro universitari usciti da casa per fare l’orgasmus a Lisbona, che passeggiano al Bairro con Vasco nelle orecchie. Ma, dico io, fa così impressione un pizzo e i capelli lunghi?
Che poi, scommettiamo che il Tizio di cui sopra si fa le pere di Vasco, a casa? (In realtà il Tizio si pera di punk nostrano e pecoreccio, il che è anche peggio, se si vuole e anche se non volete).
Sintesi -> non sono scappato dal mio paese per questo motivo, figurarsi. Non ascolto musica per compiacere gli altri o per ritagliarmi un ruolo nella società, ma per piacere personale.
La mia inconsolazione risiede nel fatto che ho dovuto spostarmi di oltre 10000 chilometri, lasciando due lavori e nessuna paura di girare da solo alle 4 di mattina in uno dei comuni più pericolosi d’Italia (d’Europa?), per trovare le stesse cose, le stesse facce, le stesse persone.
La stessa stupidità.
Un enorme transeat lo merita anche quell’elegante e raffinata occhi di vetro di ragazza conosciuta mezzo amici comuni che si accontenta di un uomo triste, grigio, brutto, sciatto solo in nome del suo esoticismo.
La cosa non mi lascia più basito di come rimasi quando un essere si dimostrò finalmente ed irrimediabilmente permeato da inutile superficialità (o superficiale inutilità, che è ben diverso, e non antitetico, anzi, nel soggetto in questione l’andatura a braccetto dei termini è indiscutibile, ma non divaghiamo), confidandomi di essersi scopat* il proprio maestro di Latinoamericano.
E va beh, l’homo erectus per passare a sapiens qualche copulazione spuria l’avrà pure vissuta.
Sintesi -> La gente vive solo per scopare random, anche dopo la conquista faticosa della capacità di raziocinio.
Non disdegno, ovviamente, la cosa, ma quando questo istinto diventa incontrollato e compulsivo, per quanto mi riguarda, è mero svuotamento.
Un film impegnato, un’ubriacata alla follia con due amici, la voce della Pollock, un tramonto al mare mi danno altrettante emozioni. Diverse.
Forse, spesso, più forti.
La mia inconsolazione risiede nel fatto che ho dovuto spostarmi di oltre 10000 chilometri, lasciando due lavori e nessuna paura di girare da solo alle 4 di mattina in uno dei comuni più pericolosi d’Italia (d’Europa?), per trovare le stesse cose, le stesse facce, le stesse persone.
La stessa stupidità.
Sui francesi ho discusso nel post precedente.
La cosa non mi lascia più basito di come rimasi quando un essere si dimostrò finalmente ed irrimediabilmente permeato da inutile superficialità (o superficiale inutilità, che è ben diverso, e non antitetico, anzi, nel soggetto in questione l’andatura a braccetto dei termini è indiscutibile, ma non divaghiamo), confidandomi di essersi scopat* il proprio maestro di Latinoamericano.
E va beh, l’homo erectus per passare a sapiens qualche copulazione spuria l’avrà pure vissuta.
Questi peró, grazie a dio, al mio paese non li avrei trovati.
Il culmine si tocca con la serata finale.
Il discorso adesso si tinge di oscurità e diventa criptico, di lisergica tradizione tanneriana.
Un eremita avrebbe saputo meglio aprire porte. La nostra assoluta corrispondenza all’arredamento agli occhi di nostalgici di aperitivi esclusivi, o miei (im-)pari nella maggior parte dei casi addicted di passeggere relazioni amicali scopo interesse, mi ha non dico scosso e nemmeno umiliato, ma, molto semplicemente, scoraggiato.
Io, e la compagna, cui reciprocamente ci facciamo da supporto, perla rara insieme al nostro amatissimo GA, unici stimoli di questa (da qualcuno definita uma) experiência esta também, magi fuori stagione privandoci delle nostre stessi vesti, sballottati da venti di ponente, trasformati in emblemi di un disadattamento che se da adolescenti era uno scudo da esibire con orgoglio quasi, una coperta di linus, forse causa incoscienza, oggi è solo ingiustizia e spreco d’intelligenza. Delle nostre intelligenza, brillantezza e cultura.
Che si sprecheranno ancora, in questo ambiente malsano, in questo mondo in bancarotta, di fronte a questa apparenza ostentata patina solo di risibile vuoto.
Confidavo alla compagna che nemmno la soddisfazione di morire di fronte ad un’orgia di pallone, m’è rimasta.
La TV CABO costa infatti 3 euro in più.
La cosa mi lascia ben più basito di come rimasi quando un essere si dimostrò finalmente ed irrimediabilmente permeato da inutile superficialità (o superficiale inutilità, che è ben diverso, e non antitetico, anzi, nel soggetto in questione l’andatura a braccetto dei termini è indiscutibile, ma non divaghiamo), confidandomi di essersi scopat* il proprio maestro di Latinoamericano.
La mia inconsolazione, stavolta ancora maggiore, risiede nel fatto che ho dovuto spostarmi di oltre 10000 chilometri, lasciando due lavori e nessuna paura di girare da solo alle 4 di mattina in uno dei comuni più pericolosi d’Italia (d’Europa?), per trovare cose peggiori, facce peggiori, persone peggiori.
Stupidità peggiore.
Non so fino a quando preferirò perdere un concerto di Tiersen ad appannaggio di una repressione continua di conati in serie.
Non so finché potrò barattare due aquile che si scannano da ottant’anni di fronte ad un’umanità immobile con la possibilità di vedere Tiersen e il cielo meraviglioso di questo posto.
Non sono ancora le due quando un milione di domande ancora mi separano dal momento in cui finalmente troverò poche ore di pace transitoria prima che un altro inutile giorno di Lisbona si riproponga ai miei occhi. Alla mia mente stanca.
Questa settimana, che non è ancora nemmeno entrata nel meriggio, mi ha fin troppo posto di fronte a constatazioni amare e riflessioni cupe come non mi accadeva, veramente, da quando avevo 16 anni.
Una domenica significativa, ad ascoltare un tizio con un contrabasso incapace di tenere la ritmica insieme ad uno svizzero allo xylofono.
Paradigmi del dilettantismo.
Sullo svizzero preferirei chiosare con un transeat eloquente: l’agguerrita turma di ventenni infoiate al seguito causa suo indiscutibile fascino non mi lascia più basito di come rimasi quando un essere si dimostrò finalmente ed irrimediabilmente permeato da inutile superficialità (o superficiale inutilità, che è ben diverso, e non antitetico, anzi, nel soggetto in questione l’andatura a braccetto dei termini è indiscutibile, ma non divaghiamo), confidandomi di essersi scopat* il proprio maestro di Latinoamericano.
E va beh, l’homo erectus per passare a sapiens qualche copulazione spuria l’avrà pure vissuta.
L’altro, il contrabassista, dopo 8 anni di conservatorio e l’affermazione tutt’altro che leggera "io faccio jazz", è il prototipo dell’alternativo per sentito dire, quello che a 18 anni cause manie di protagonismo, aria trasandata, amicizie sbandate, barba incolta, chitarra in spiaggia con musica giusta, sfida all’istituzione costituita mediante consumo erba alla luce del sole, professione dichiarata di comunismo in una qualsiasi provincia italica è il guru indiscusso di orde di bambinetti in lotta aperta col mondo.
Il Tizio che ascoltava Caio quando Sempronio doveva ancora farsi le seghe.
Il problema è che il Sempronio in questione sono sempre stato IO, e vi assicuro che molto prima di iniziare a farmi le seghe ascoltavo quello che ascoltava Caio quando iniziò a suonare. E si dà il caso che Sempronio, ancor prima di ascoltare gli avi di Caio, suonava il suo strumentino.
Ma Sempronio non sbandiera i suoi gusti musicali, si fa la barba ogni mattina (e ieri pure di sera), ha i capelli corti, non si loda per come suona (anzi), si veste bene e non fa professione militante di fede politica. Non suona cacofonie spacciandole per jazz, post-cazz o vaffancul.
Di fronte al contrabassista si stagliava un’oceanica folla di pseudo-alternativi al seguito, novello Artù contorniato da cavalieri sieropositivi (cit., anch’essi per sentito dire, ovviamente) in religioso silenzio; la capacità di critica difetta a Sanremo, figurarsi tra quattro universitari usciti da casa per fare l’orgasmus a Lisbona, che passeggiano al Bairro con Vasco nelle orecchie. Ma, dico io, fa così impressione un pizzo e i capelli lunghi?
Che poi, scommettiamo che il Tizio di cui sopra si fa le pere di Vasco, a casa? (In realtà il Tizio si pera di punk nostrano e pecoreccio, il che è anche peggio, se si vuole e anche se non volete).
Sintesi -> non sono scappato dal mio paese per questo motivo, figurarsi. Non ascolto musica per compiacere gli altri o per ritagliarmi un ruolo nella società, ma per piacere personale.
La mia inconsolazione risiede nel fatto che ho dovuto spostarmi di oltre 10000 chilometri, lasciando due lavori e nessuna paura di girare da solo alle 4 di mattina in uno dei comuni più pericolosi d’Italia (d’Europa?), per trovare le stesse cose, le stesse facce, le stesse persone.
La stessa stupidità.
Un enorme transeat lo merita anche quell’elegante e raffinata occhi di vetro di ragazza conosciuta mezzo amici comuni che si accontenta di un uomo triste, grigio, brutto, sciatto solo in nome del suo esoticismo.
La cosa non mi lascia più basito di come rimasi quando un essere si dimostrò finalmente ed irrimediabilmente permeato da inutile superficialità (o superficiale inutilità, che è ben diverso, e non antitetico, anzi, nel soggetto in questione l’andatura a braccetto dei termini è indiscutibile, ma non divaghiamo), confidandomi di essersi scopat* il proprio maestro di Latinoamericano.
E va beh, l’homo erectus per passare a sapiens qualche copulazione spuria l’avrà pure vissuta.
Sintesi -> La gente vive solo per scopare random, anche dopo la conquista faticosa della capacità di raziocinio.
Non disdegno, ovviamente, la cosa, ma quando questo istinto diventa incontrollato e compulsivo, per quanto mi riguarda, è mero svuotamento.
Un film impegnato, un’ubriacata alla follia con due amici, la voce della Pollock, un tramonto al mare mi danno altrettante emozioni. Diverse.
Forse, spesso, più forti.
La mia inconsolazione risiede nel fatto che ho dovuto spostarmi di oltre 10000 chilometri, lasciando due lavori e nessuna paura di girare da solo alle 4 di mattina in uno dei comuni più pericolosi d’Italia (d’Europa?), per trovare le stesse cose, le stesse facce, le stesse persone.
La stessa stupidità.
Sui francesi ho discusso nel post precedente.
La cosa non mi lascia più basito di come rimasi quando un essere si dimostrò finalmente ed irrimediabilmente permeato da inutile superficialità (o superficiale inutilità, che è ben diverso, e non antitetico, anzi, nel soggetto in questione l’andatura a braccetto dei termini è indiscutibile, ma non divaghiamo), confidandomi di essersi scopat* il proprio maestro di Latinoamericano.
E va beh, l’homo erectus per passare a sapiens qualche copulazione spuria l’avrà pure vissuta.
Questi peró, grazie a dio, al mio paese non li avrei trovati.
Il culmine si tocca con la serata finale.
Il discorso adesso si tinge di oscurità e diventa criptico, di lisergica tradizione tanneriana.
Un eremita avrebbe saputo meglio aprire porte. La nostra assoluta corrispondenza all’arredamento agli occhi di nostalgici di aperitivi esclusivi, o miei (im-)pari nella maggior parte dei casi addicted di passeggere relazioni amicali scopo interesse, mi ha non dico scosso e nemmeno umiliato, ma, molto semplicemente, scoraggiato.
Io, e la compagna, cui reciprocamente ci facciamo da supporto, perla rara insieme al nostro amatissimo GA, unici stimoli di questa (da qualcuno definita uma) experiência esta também, magi fuori stagione privandoci delle nostre stessi vesti, sballottati da venti di ponente, trasformati in emblemi di un disadattamento che se da adolescenti era uno scudo da esibire con orgoglio quasi, una coperta di linus, forse causa incoscienza, oggi è solo ingiustizia e spreco d’intelligenza. Delle nostre intelligenza, brillantezza e cultura.
Che si sprecheranno ancora, in questo ambiente malsano, in questo mondo in bancarotta, di fronte a questa apparenza ostentata patina solo di risibile vuoto.
Confidavo alla compagna che nemmno la soddisfazione di morire di fronte ad un’orgia di pallone, m’è rimasta.
La TV CABO costa infatti 3 euro in più.
La cosa mi lascia ben più basito di come rimasi quando un essere si dimostrò finalmente ed irrimediabilmente permeato da inutile superficialità (o superficiale inutilità, che è ben diverso, e non antitetico, anzi, nel soggetto in questione l’andatura a braccetto dei termini è indiscutibile, ma non divaghiamo), confidandomi di essersi scopat* il proprio maestro di Latinoamericano.
La mia inconsolazione, stavolta ancora maggiore, risiede nel fatto che ho dovuto spostarmi di oltre 10000 chilometri, lasciando due lavori e nessuna paura di girare da solo alle 4 di mattina in uno dei comuni più pericolosi d’Italia (d’Europa?), per trovare cose peggiori, facce peggiori, persone peggiori.
Stupidità peggiore.
Non so fino a quando preferirò perdere un concerto di Tiersen ad appannaggio di una repressione continua di conati in serie.
Non so finché potrò barattare due aquile che si scannano da ottant’anni di fronte ad un’umanità immobile con la possibilità di vedere Tiersen e il cielo meraviglioso di questo posto.
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