Hard Candy ovvero le riflessioni personali sulle malattie psicologiche
22/03/07
Nel tentativo, rivelatosi efficace, di liberarsi di serali compagnie lunatiche, ieri si è noleggiato un film; la confusione che derivava dal disordine (nostro mentale e) molto portoghese di una videoteca in pieno stile anni ’80 (e te pareva) ci ha indotti a chiedere lumi al titolare, un tizio inizialmente –stranamente- antipatico (causa nostro sotaque).
Un ragazzoalternativodeimieicoglioni si reca al bancone, restituendo la copia di tale Hard Candy.
Il titolare, tanto gentile (con lui), lo guarda stralunato "da togliere il respiro".
Occazzo, lo vogliamo pure noi.
"Non so, non so se vi piace, è terrore".
Cristo, mi dico, sto rivivendo The Ring: ma in 7 giorni ho il tempo di tornare a Viseu, e comunque la prossima volta che mi ubriaco muoio… E allora si noleggia.
"É só em inglês com legendas portuguesas";
e io in che lingua ti sto parlando?
Alla fine ci dà sto film.
Una produzione indipendente, di tale David Slave, un po’ fuori tempo massimo (il film è uscito l’anno scorso), ma un delirio pazzesco e una lucida follìa da inchiodare alla poltrona fino alla fine.
Praticamente a budget vicino allo zero, girato quasi interamente in una casa dai colori mutevoli e ambiente ovattato; a questo proposito, la scenografia è eccellente, calzando a pennello il rosso fuoco nei momenti di ansia più profonda, il rosa "sporco" dello squallore interiore del protagonista, il verde scuro della tortura psicologica e non.
I dialoghi sono serrati e perfetti, ricostruendo una storia allucinante che si compone scena dopo scena lasciando increduli – una tendenza ormai diffusa, ma che gradisco e che sono felice si stia sviluppando nella filmografia attuale; inquadrature intense e recitazione dei due protagonisti eccelsa.
Perché eccelsi sono, Ellen Page (paurosamente somigliante a Martina) e Patrick Wilson: la ragazza si fa notare più del coprotagonista, e anche se il culmine si raggiunge a 1:00.00 precisa precisa, in precedenza la finta recita di innocenza, mentre sta recitando il copione, è qualcosa che o lo si vede, o non ci si crede. Un raro cammeo.
Colonna sonora ancor più minimale dell’intero film, chiusura con Elephant Woman dei Blonde Redhead, secondo pezzo di tutto il film.
Strapremiato a ragione.
Il videotecato antipatico la sapeva lunga.
Nota a margine: chi avesse voglia, o a chi capitasse la ventura di guardare la pellicola, si ricordi che il protagonista si è probabilmente macchiato d'omicidio.
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