As câmaras da memória

Diario di un(o che continua a confermarsi un) antieroe
Vortici di pensieri disordinati: un italiano che ha anche vissuto a Lisbona, ma non per fare l'er*smus
"La vita per te é solo un pretesto per scrivere a ruota libera" (simon tanner aka humpty dumpty)
"Io lavoro, eri tu quello che faceva cazzate!" (Franca)

martedì, aprile 24, 2007

Mi & L'au, ovvero la costruzione calcolata d'un grande inganno

22/03/2007

Aveva ragione qualcuno.
Non oltre i 7,50 euro.

I Mi & L’Au suonano in un localino al Bairro, lo "Zé dos Bois", generalmente abbastanza frequentato, con finestroni che dànno sulla strada tipo vetrine, offrendosi ad individui di varia estrazione che si fermano ad osservare cosa accade dentro.
Entro, e il bruttissimo Mi mi dá la mano, essendo il primo degli avventori, presentandomi la L’Au, specie di elfo dal viso angelico, occhi stralunati grandi come la fame (cit.) e corpo da nano ermafrodita.

Iniziano il loro set, due semplici chitarre acustiche preamplificate senza alcuna sezione ritmica, alle 23:30, e già si intravedono gli albori di quella che sarà una lunga litania, ad onor del vero multicorde, che propineranno con indefessa continuità fino alle 1:15 del mattino seguente.
Inizialmente adoro l’aria falsissima di innamorati pazzi che hanno, la voce tremante e debole, o d’improvviso forte e melodica della lei, eclettica, che, fissante il microfono, sussurra alla chitarra (non escludo che sia molto migliore di lui) serenate d’amori semplici e che basta poco per essere felici. A tratti la tipa mi sfora nello shoegaze, la vedrei bene su pezzi ben diversi, sopratutto quando si arrampica su tristezze ingiustificate o su nebbie che non si diradano per lunghe stagioni.
Lui, inutilmente virtuoso alla morte quando passa l’accendino sulle corde, si guarda le scarpe o ammira la leggiadria della sua donna; stonato come si deve, poco Banhart, come racconta chi lo conosce. Battute stupide, disabitudine alla vita sociale, per sua stessa ammissione.
Il contesto, decisamente minimale, si ravviva solo a tratti, quando i due disegnano arpeggi in coppia né folk né post; viceversa, opprimono i genitali, quando lamentele dell’uno o dell’altra riempiono gli interminabili spazi tra un Mi e un La (U, appunto), facendo il verso alla peggiore (ed è tutto dire) Bjork.
Dal punto di vista tecnico, in sostanza, il concerto è andato bene: sono bravi musicisti, hanno una discreta voce, sul breve periodo intrattengono, con sperimentazione esagerata, o echi di cantautorato francese addirittura o arpeggi magnificamente coordinati o melodie suadenti.
Ma.

La storia di Mi & L’Au la sapete, no?
Sembra che i due, conosciutisi a Parigi, si siano reciprocamente innamorati alla follía e siano scappati, rifugiandosi in una baita finlandese, suonando a scopando da mane a sera, senza uscirne per anni, per venirne fuori con un cd, un tour e i buoni uffici di Devendra Banhart.
A parte le cantilene che sul lungo periodo addormenterebbero un toro infuriato chiuso in un cubo rosso fuoco (e quindi voglio vedere se riescono a resistere ore intere a suonare un sol ogni dieci minuti intervallandolo da fischietti e peti e dolori di pancia che nemmeno la Shaw nella tragedia di oreste ed elettra), mi pare che i tizi recitino una bella parte.
Riempiono l’aria di tristezze altalenanti, di racconti di due cuori e una capanna, introspezioni profondissime, malinconie infinite di notti fredde riscaldate solo dal calore dell’amore (cit.), ed è un idillio così falso che te ne rendi conto, in modo molto brusco, quando da quelle vetrine di cui sopra passano ubriachi che ruttano o inneggiano al b*nfica(#) rompendo i silenzi di lei, o qualcuno tira lo sciacquone del cesso in quei dieci minuti di pausa tra sol e re, o la coppia a me vicina si sta divertendo da pazzi a prenderli per il culo o i soliti mendicanti suonano reggae nel minimale contesto disegnato, riagganciandoti brutalmente alla realtà del mondo esteriore.
La solitudine gli ha dato alla testa, se non mentono quando si guardano e sorridono con giochi di complicità che manco i miei nonni dopo 60 anni di matrimonio (e sono io che non ci arrivo), o il giochino di fare gli eremiti gli sta riuscendo (e rendendo) molto, se è vero, come ammesso dallo stesso Mi, che tra pochi mesi ci regaleranno un nuovo album.
E perché?
Non sono nulla più che una sufficiente band che non sposterà la storia della musica di un millimetro; un francese dalle battute che non fanno ridere e un elfo che doveva cantare shoegaze.

Setteeuroecinquanta. E nel giochino ci cascai anch’io (insieme ad un’altra settantina di persone, ad onor del vero).
Basta poco, per fregare un alternativo al giorno d’oggi.

(#) (stratagemma per evitare che arrivi qui gente digitando su google quella orribile bestemmia).