As câmaras da memória

Diario di un(o che continua a confermarsi un) antieroe
Vortici di pensieri disordinati: un italiano che ha anche vissuto a Lisbona, ma non per fare l'er*smus
"La vita per te é solo un pretesto per scrivere a ruota libera" (simon tanner aka humpty dumpty)
"Io lavoro, eri tu quello che faceva cazzate!" (Franca)

domenica, novembre 11, 2007

Io, tu e i gradini vuoti della Bica

Mercoledì 7 novembre ho visto Interpol+Blonde Redhead in un Coliseu de Lisboa coi biglietti esauriti da molto tempo.

La cosa ha la sua spiegazione, nel fatto che storicamente il pubblico portoghese ama i concerti rock live (visto che sembra che si stia riparlando di rock, nel senso piu' genuino ed onesto della parola, per la prima volta nella storia questo blog si allinea e utilizza un vocabolo già abusatissimo), sopratutto quando sono parecchio animati, o quando la base ritmica invita a muoversi per due ore e piu' sotto un palco.
È quello che è accaduto con gli Interpol, band per la quale probabilmente ho speso sempre molto piu' che due parole, come universalmente noto gruppo cover dei Joy Division, che hanno ripagato in maniera del tutto onesta il biglietto del concerto; concerto che, molto stupidamente, ho seguito seduto nello stesso posto dal quale ho visto i NIN, ma, mentre per Reznor non ho avuto alcun rimpianto nel non essermi piazzato in mezzo alla folla pogante, questa volta, devo dirlo molto onestamente, ho sbagliato e di grosso.
Perché è vero che al concerto eravamo equamente divisi tra nostalgici di anni '80 e abiti neri e ggiovani alternativi che se gli parli di Ian Curtis ti dicono che quando giocava nel Crystal Palace era piu' forte, ma gli Interpol hanno dalla loro la capacità -per lo piu' rara di questi tempi- di fare pezzi semplici, con due-tre accordi, quattro variazioni, due crescendo ed eccoti servita una perfetta canzone rock, col pubblico in delirio ad accompagnare le gesta e parole di un biondino vestito di nero che non arrisca mai la voce, forzando il nasale curtisiano e schitarrando quando si ricorda che deve farlo.
E allora avrei benissimo potuto starmene là sotto a sgomitare, a cantare Rosemary o le canzoni del primissimo album, a **** e ****** de graça: probabilmente non avrei capito l'errore dilettantistico del bassista al primo encore su Not even jail o le pose inutili del primo chitarrista per tutto il tempo, ma sicuramente mi sarei divertito di piu' e non avrei avuto remore nel rispondere qualcosa alla biondina frangiata alla mia destra, che invece ho ignorato per tutto il tempo, nonostante lei mi chiedesse insistentemente da quale album dei Blonde Redhead fosse uscita la bellissima Equus

Lei ovviamente convinta che i BR fossero italiani (cosa che io non ho assolutamente negato, vuoi mettere, finalmente qualcuno che rappresenta la musica della mia nazione non rispondente al nome di Ramazzati o Pausetta); BR che qualitativamente hanno di molto superato gli Interpol stessi, in quei 45 minuti di apertura che hanno regalato, mantenendosi un po' diversi dalla canzone-forma-album, cercando soluzioni nuove, imponendo il loro suono particolare ed unico, attraversato dalle piu' sparute influenze, con la voce di Kazu bambinesca o stridula (come la migliore PJ sapeva regalare anta anni fa) di una sensualità da lasciare senza fiato.
E il nuovo album, 23, rende molto piu' dal vivo: ovviamente non è Misery is a Butterfly, ché stiamo parlando di un'opera che rimarrá nei decenni, per la sua maestosa beltà, irraggiungibile non solo da loro, e quindi tanto maggiormente c'è da levarsi il cappello di fronte ad una prova autentica e tutto sommato piu' che sufficiente per i newyorkesi trapiantati in questione.
La maggior parte dei gruppetti indie o presunto tali se lo sognano un album come 23.
Rimango dunque profondamente convinto che tra i due, chi doveva aprire il concerto fossero i figli dei JD.

(...)


Morire, d'amore, d'allegria, di musica, di attese, di speranze e di nostalgie.
E rinascere ogni volta.
C'è peró chi da stasera non rinascerà mai piu'; morto, brutalmente, accidentalmente, o piu' semplicemente senza che mai se ne saprà la ragione, a ventiseianni, per andare a vedere una partita di calcio.
Non mi interessano niente le ragioni o le dinamiche.
Non m'importa che fosse fascio, arrogante o nonsocosa.
Non si muore per una partita di calcio, e non si reagisce con tutta quella esasperazione, né da un lato, né dall'altro.
Quella nazione mi fa schifo, la mentalità imperante di quella nazione mi fa ribrezzo.

Preferisco questa scarsa serie C portoghese, con i bambini che sorridono di gioia dalla mano col papà in curva senza transenne.
O qualche altro posto.
Qualsiasi.
Lontano anni luce dalla vostra pazzia.

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