As câmaras da memória

Diario di un(o che continua a confermarsi un) antieroe
Vortici di pensieri disordinati: un italiano che ha anche vissuto a Lisbona, ma non per fare l'er*smus
"La vita per te é solo un pretesto per scrivere a ruota libera" (simon tanner aka humpty dumpty)
"Io lavoro, eri tu quello che faceva cazzate!" (Franca)

domenica, luglio 24, 2005

Un pezzetto di vita


Venerdì mi sono laureato in scienze politiche.
Sei anni di gioie, dolori, passioni, musica, droghe, amici, paranoie, alcool.

Un milione di sigarette fa, entrai all'università. Un neodiciottenne timido, forse insicuro, forse estroverso per mascherare certi segni che ti accompagnano per sempre.
Con tanti sogni, una valigia di paure e diverse ossessioni.

E comincia una storia, una storia matura, fatta di ragazzine che scappano di casa, di gite fuori porta non programmate, di lezioni e professori spauracchi che ti danno il lei, levatacce il giorno dopo un concerto suonato da ubriaco.
Di esami preparatissimo toppati clamorosamente, di altri invece caduti dal cielo in modo inaspettato.
Senza una lira in tasca. Perchè c'era ancora la lira, sì.
E amici, tanti amici, uno che è diventato un fratello, una collega conosciuta il primo giorno di lezione, la prima in assoluto che poi è sempre stata vicina, fino alla fine, fino in fondo, fino all'ultimo momento.

Non posso e non so raccontare un'emozione lunga 6 anni, le volte che sono cambiato, vi basti sapere che sono entrato da quella porta vestito di nero e bianco come la morte e ne sono uscito abbronzatissimo in giacca e cravatta.

E quanti sogni buttati via; e il primo amore. E le case, feticci a ricordo indelebile di un pezzetto di vita.

Fino a venerdì: seduto davanti a una commissione, dietro tutti in attesa, lacrime di gioia alla proclamazione, lacrime a tavola, lacrime abbacciato alla mia migliore amica, lacrime abbracciato a chi è cresciuto con me. Una laurea emotiva, una gioia immensa, attorniato da gente che mi vuole davvero bene, che mi ha dimostrato una attaccamento che non era lecito neanche sognare.

Vale più questo di un titolo vuoto, privo di significato, troppo formale per il mio modus vivendi.

Penso alle mie colleghe che non rivedrò più. Tra vent'anni forse, tutti sposati coi figli. Ci riconosceremo?
E penso a quello che sono. Privo di ogni consapevolezza, adesso. Privo di progetti.
Libero.

O forse è un altro inganno?