As câmaras da memória

Diario di un(o che continua a confermarsi un) antieroe
Vortici di pensieri disordinati: un italiano che ha anche vissuto a Lisbona, ma non per fare l'er*smus
"La vita per te é solo un pretesto per scrivere a ruota libera" (simon tanner aka humpty dumpty)
"Io lavoro, eri tu quello che faceva cazzate!" (Franca)

martedì, marzo 21, 2006

Carlos Lopes


Per il ciclo la materia dei sogni va ora in onda...
...la storia di Carlos Lopes.

Premessa
Vivo a Viseu, qui, ma piú propriamente abito in una freguesia (frazione, se volete... Quartiere meglio forse) della capitale dell'omonimo distretto, chiamata Vildemoinhos.
Gli abitanti di Vildemoinhos sono un po' piú pazzi degli altri: sono piú disponibili e parlano moltissimo.
Gli abitanti di Vildemoinhos mal sopportano la dipendenza da Viseu: si fanno chiamare 'Trambelos' e chiedono con un certo squilibrio mentale, senza alcuna ragione evidente per farsi accettare una cosa del genere, l'indipendenza dal centro -perché, ripeto, é un quartiere: per raggiungere Vildemoinhos non bisogna uscire da Viseu.
I Trambelos dicono che Viseu é una freguesia di Vildemoinhos, hanno la loro squadra di calcio, il Lusitano (e quando l'Academico-la squadra di Viseu- era in serie a nessuno andava a vederla, per fiera inimicizia), hanno i loro bar antiquati e retró, hanno il forno, hanno il ristorante, lo stadio e la farmacia.
E' lunico quartiere di Viseu ad avere tutte queste peculiarità, ad essere cosí testardamente differente.
A Vildemoinhos é nato Paulo Sousa e uno dei maggiori giornalisti del paese -che peró non ricordo come si chiami: il padre di quest'ultimo lavora ancora tutte le notti, di fronte a casa mia, per fare il pane. Ed é chiaramente miliardario.
Ma la rotonda di Vildemoinhos (Viseu é la città con piú rotonde di tutta la Lusitania) ospita un monumento strano: qualcuno che taglia un traguardo, senza braccia e senza faccia. E' praça Carlos Lopes.

Carlos Lopes
Carlos Lopes é nato a Vildemoinhos nel 1947. Inizió a lavorare a 10 anni, per sostentare la famiglia che viveva in condizioni disagiatissime: fu domestico, orologiaio e fabbro.
Il sogno di Carlos Lopes era fare il calciatore nel Lusitano, ma non aveva il fisico per questo: era mingherlino, e il padre preferiva mandarlo a lavorare anziché fargli rincorrere i sogni.
Era il 1966 quando fu folgorato dalla mania della corsa: era con altri tre ragazzi a Viseu, era una notte di vento forte, e impauriti da alcuni suoni sinistri il gruppetto si mise a correre a perdifiato per raggiungere Vildemoinhos. Carlos arrivó primo, e insieme agli altri, quella stessa notte, decise di fondare un club di atletica nel Lusitano (qui le squadre sono tutte polisportive).
Per riuscire a farlo, Carlos falsificó la firma del padre: e iniziarono gli allenamenti, venti chilometri al giorno di massacro, di nascosto, fino alla corsa di San Silvestro di Viseu. Si classificó secondo, tornó a casa con una medaglia al collo, e il padre ne fu ben contento.
E poi fu terzo nel campionato nazionale juniores, e poi fu 25o, miglior portoghese, a Rabat, nel 'Cross dos Nações'.
Aveva 17 anni, Carlos Lopes. Ed era la prima volta che vedeva il mare.

Carlos Lopes andó a Lisboa.
Fu attirato lí da una promessa di lavoro, gli dissero che poteva fare il meccanico e gli piaceva, oltre ad allenarsi... Invece lo spedirono a fare il fabbro, era una vita difficile e insostenibile.
Ma i sogni cominciavano a realizzarsi, la fatica cominciava ad essere ripagata: lo Sporting lo notó e lo tesseró per la sua equipe di atletica, oltre a sistemarlo in banca.
Per allenarsi i colleghi facevano il suo lavoro, di mattina. Gli pagavano da mangiare e da dormire, ché la banca non retribuiva le ore senza lavoro, e il denaro investito dallo Sporting era poco.

Era il 25 aprile del 1974 quando il popolo portoghese si ribelló a Salazar, e Carlos Lopes, due anni dopo, partecipava ai campionati del mondo di Chepstown (Galles).
Lopes era tra i favoriti nella maratona, ma subito dopo Simons e Ford.
Il suo allenatore gli consiglió di tenere duro e attaccare nel finale: il suo fisico gli permetteva d'essere uno sprinter di classe.
Carlos Lopes fece di testa sua: al sesto chilometro balzó in testa.´
E taglió per primo il traguardo.
Tornato in Portogallo, Lopes fu accolto alla stregua di un eroe.

Era il 1976, ed erano i giochi di Montreal.
Lopes fu superato, nella finale dei 10000 metri, solo da un finlandese, Viren.
Viren si era allenato tutto l'inverno in Colombia, e l'estate in Canada.
Lopez era rimasto a Lisbona, a correre la mattina e andare in banca il pomeriggio.
Viren vinse 10000 e 5000 metri, e le accuse di doping gli grandinarono addosso: lui disse che beveva solo latte di renna.
Si scoprí che Viren qualche mese prima di una prova importante si faceva tirare il sangue, lo congelava e poi se lo ri-iniettava. Guadagnava il 30% di rendimento.

Lopes partecipa a diverse altre manifestazioni internazionali, taglia traguardi e si piazza in ottime posizioni. E' uno dei favoriti per la maratona olimpica di Mosca.
Ma iniziano i problemi fisici: Carlos Lopes sta fermo per quasi cinque anni, e cade nel dimenticatoio, come tutti gli atleti di serie b. Come tutti quelli che non possono saltare gli allenamenti perché la notte prima si é tirato tardi in discoteca e che non viaggiano in Porsche.
A Mosca, Carlos Lopes, non ci andrà.

Ma Carlos Lopes rialza la testa. Ricomincia a lavorare sodo, torna di nuovo qui e raccontano di salite e discese per Viseu 40 chilometri 2 volte al giorno: é l'82 quando stabilisce il record europeo dei 10000 metri.
Ma ancora la Storia deve essere scritta.

1984, Olimpiadi di Los Angeles.
Il Portogallo é una nazione che a livello atletico ha una storia pari a zero. Non un saltatore, non un maratoneta, non un astista. Niente. Neanche l'avere avuto infinite colonie per secoli gli ha permesso di avere un qualche campione in casa.
Il Portogallo non aveva mai vinto una medaglia d'oro.
Carlos Lopes due giorni prima di partire per gli States fu investito per strada da una Mercedes. Tentó di rialzarsi, non ci riuscí la prima volta. Tentó la seconda, e riprese a correre.
Corse, e da lí non si fermó piú. Rifutó di alloggiare nel Villaggio Olimpico per stare accanto alla moglie, e il giorno della maratona infine arrivó. L'ultima prova di tutta la manifestazione, il simbolo delle Olimpiadi da sempre.
"12 de Agosto de 1984. O andamento vivo e a temperatura elevada foram desgastando Salazar, que cedeu ao quilómetro 19, Castella descolou aos 34, Seko e Takeshi ficaram para trás aos 36.
Na cabeça do pelotão ficaram, então, Lopes, John Tracy e Charles Speddeing.
Mas, aos 38 quilómetros, Lopes desferiu um ataque rumo à vitória, rumo ao sonho. Entrou no estádio com 200 metros de vantagem, em passada firme, com o sorriso nos lábios.
Os braços erguidos ao céu.
Lopes conquistava para Portugal, a primeira medalha de ouro numas Olipíadas.
Eram 3.10 horas da madrugada em Lisboa."
Lopes aveva vinto, aveva scritto la Storia. Ed erano le 3 del mattino ma la gente uscí nelle strade per rendere indimenticabile quel momento.
Perché i portoghesi vivono sempre cosí, nella rassegnazione e nel dolore di aver perso qualcosa che non sarà mai piú, lontana nel tempo e negli anni, con uno spirito di tristezza immenso. La saudade.
Quel giorno il Portogallo, una nazione nata dal tradimento d'un figlio 16enne che usurpo' il trono della madre, fu in cima al mondo: e nessuno aveva alcun sorriso amaro sul volto.
Carlos Lopes veniva da Vildemoinhos, da un paesino rurale, figlio di un uomo povero, che aveva solo tanta passione e volontà.
Era un ragazzino mingherlino destinato a fare il fabbro per tutta la vita.
Come tanti.
Eppure prese il mondo, quel giorno, sulle sue spalle, e lo sollevó.

Nei negozi di Vildemoinhos ancora campeggiano enormi quadri di Lopes, ragazzi di 25-27 anni ricordano tutto perfettamente. I vecchi ne parlano con le lacrime agli occhi.
Carlos Lopes ancora viene a vivere qui, ad anni alterni.
Dicono non sia cambiato per niente, dicono sia umile e disponibile con tutti.

A Vildemoinhos c'é Praça Carlos Lopes, e un atleta senza testa, braccia, colori o bandiere che taglia un traguardo.
La statua non rappresenta Carlos Lopes, il trambelo che ce l'ha fatta.
Rappresenta invece le speranze e la volontà di chi ci crede, fino in fondo.
E alla fine ci riesce.
Quella statua omaggia e rende immortale la materia dei sogni.

(scopiazzate, informazioni aggiuntive e altr* li ho beccati qui)

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