As câmaras da memória

Diario di un(o che continua a confermarsi un) antieroe
Vortici di pensieri disordinati: un italiano che ha anche vissuto a Lisbona, ma non per fare l'er*smus
"La vita per te é solo un pretesto per scrivere a ruota libera" (simon tanner aka humpty dumpty)
"Io lavoro, eri tu quello che faceva cazzate!" (Franca)

venerdì, novembre 10, 2006

Il broncio di Martina



Dea Martina è caduta male agli US Open.
Nessuno se lo aspettava, nemmeno lei stessa, eroina dagli occhi tristi, ritornata, come sappiamo, dopo un lungo periodo di astinenza tennistica a calcare quei campi che sono suoi, che domina e che disegna ruotando la racchetta che tiene in mano.
La voglia di far bene c'era, caspita se c'era.
Misurarsi con sè stessa, prima che con le grandi giocatrici di oggi.
Entra al master da numero 8, da ultima delle classificate, da fanalino di coda.
Costretti, da un malvagio sorteggio, a giocare tre matches in tre giorni.

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E il sorteggio è veramente malvagio: Justine Henin, Nadia Petrova, Amelie Mauresmo.
Due numeri uno, e una gran giocatrice di volo sul cemento di Madrid: una dopo l'altra, da martedì a giovedì.
Eliminata in partenza, dicono, e sembra che Dea non faccia niente per negare il pronostico nel primo match contro sua maestà Justina: la belga le impone subito un 6-2, e Martina inizia a mostrare il broncio. Broncio che la porta a vincere il set successivo, tra l'incredulità dei presenti e un popolo in tribuna che la ama veramente.
7-6, prima di venire travolti nell'ultimo set per 6-1.
Ma contro Justine può bastare.

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Il giorno dopo, nemmeno il tempo di rifiatare, le tocca la Petrova.
La Petrova è una vacca infausta (cit. - Gigio, te la rubo, tenila) di una scorrettezza minacciosa.
Prima di entrare in campo, si sprecano i pronostici anti-Martina. Dea è stanca, Dea nulla potrà contro quell'energumena brutta da metter paura, Dea ha avuto ieri la Henin mentre l'infausta ha spiaccicato Amelia in due set con un, impressionante, doppio 6-2.
Woodcock chiede a Martina che pensa, nel sottopassaggio.
Martina apre la boccuccia delicata e strabuzza gli occhioni verdi: "l'importante è che io sia qui, a giocare".
A giocare.
Dea Martina non ne poteva più, aveva abbandonato, ricordate? Di fronte a quel tennis bruto di due mascoline americane che a costo di impoverire una nobilissima disciplina avevano abolito palle corte e servizi carichi di effetto.
Ora che è tornata, ora che ha finito l'intervista e si dirige lentamente verso il campo, in quello spazio infinito, Martina cosa chiede a sé stessa, mentre l'infausta inizia a sorridere, sicura di quello che ha, sicura di dover fare un boccone di quella svizzerotta col passato glorioso?

Se lo sta ancora chiedendo, mentre serve sul 3-0 con due break vinti al primo set.
Martina domina. Martina lobba, Martina va a rete, Martina chiede un "Yellow G*torade", Martina smorza, Martina irride la Petrova infausta.
Irride e quella ride, quasi a farne beffe: vedrai, sembra dire, ora comincio a giocare e ti mangio.
Nel frattempo, siamo sul 6-4 Hingis.

Nel secondo set, Martina ha un calo: dopo aver giocato due ore ad alto livello contro la regina del circuito, ci può stare. Quella fa la gradassa: ride, la stupida, fa la spaccona, saltella, chiede 'challenge' ogni due punti.
Ci può stare, il secondo set lo vince l'infausta, 6-3.

Peccato che la vacca non abbia fatto i conti col broncio di Martina.
Martina s'imbroncia, al terzo set, tira fuori i denti, comincia a servire come prima, sceglie di comandare il gioco, sposta l'infausta, la porta avanti e indietro, le fa i pallonetti e i cross di diritto, gira la manina sinistra e piazza rovesci.
Quella ride.
Quella ride e Dea accende gli occhioni colore del mare; precisa, l'incantevole principessa danza su quel cemento rosa rubando l'attenzione di tutti i presenti: scatena applausi, urla d'affetto e di gioia, e i gridolini di quell'infausta si perdono come echi lontane di angosce superate.
Martina chiude 6-3, quella là non ride più.
Si avvicina Woodcock, e la mano di Martina sta tremando. Il pubblico la osanna ancora, lei farfuglia qualcosa di gioia e sorrisi; poi inizia a commuoversi, Martina.
Quegli occhi, tornati grigi, si velano di lacrime.
"Sono qui", dice.
Destinata ad essere regina, senti che sei tornata.
Cosciente di non aver mai smesso di essere Dea.

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Era passata da poco la mezzanotte, quando Martina aveva abbandonato il campo in seguito allo schiaffeggiamento dell'infausta vacca.
Dopo nemmeno venti ore, ci attende al varco Amelia.
Amelia, ultimo ostacolo del round robin, che conosciamo per la sua dolcezza e la sua classe, che non discutiamo, che forse è la più talentuosa di tutte e la più forte. Merita il numero uno.
Martina è stanca. Anche le dee possono fermarsi, anche le dee possono tirare il fiato.

Il G*torade giallo lo chiede subito.
Primo set, break della francese, controbreak di Martina, controbreak di Amelia, controbreak Hingis.
Servizio Hingis, break Hingis.
Martina Hingis leads 6-3, dopo un set.

In questa fase Martina sta dando spettacolo allo stato puro: saltella, nella sua maestosa mise -bianca scollata maglia, gonnellino con spacco abbinato- tra le nemesi di Amelia e le sue paturnie; tra una giudice di linea che sbaglia tutto e un'arbitra poco sveglia; tra raccattapalle fotomodelli lenti in modo indisponente e lo sguardo di un pubblico in delirio.
Lob, smorzate, servizi lenti ma agli incroci delle righe.
Grinta, dolcezza, magia, leggiadra come la dea che è.
E' stanca, Martina, ma non lo dà a vedere, almeno finchè Amelia non prende a picchiare.

Amelia picchia e infila 9 giochi consecutivi. Nove.
6-1 al secondo, 5-1 al terzo.
Durante questa fase, Martina non è più in campo. E' stanca, ma non sopporta che le rubino la scena; non è giusto, non è stato scritto così, nel libro del destino.
Martina si commuove di nuovo, e stavolta di rabbia.
Le gambe non rispondono, eppure aveva corso tanto: che ti stai chiedendo, Martina? Forse quello US Open non è stato un caso, forse dovevo rimanere a giocare coi cavalli e a commentare le imprese delle altre, forse in questi quattro anni non ho pensato abbastanza, forse...
Corregge lo spagnolo dell'arbitra, che le ruba un punto, chiede challenge a manetta sbagliando sempre, il pubblico la invoca a gran voce, e poi non ci crede più, fino a far scemare il suo apporto.
Amelia sta facendo quello che vuole, e Martina si imbroncia sempre di più.
La mano destra fa gesti di delusione, il capo è chino. Guarda quel prato rosa, Martina, è di un colore simile a quella terra che calcavi a 4 anni con la racchettina e mamma che insisteva nel farti giocare.
E poi a 17 anni, e poi il verde di Wimbledon, e poi la gloria, e poi tu, in cima al mondo, e al resto le briciole, divertendo, diventando protagonista, diventando regina.
Unica, sola, Dea, padrona del mondo.
E poi il buio, quelle due colosse che ti fanno male, il ritiro, i cavalli, i flirt e le depressioni.
Mille domande.

Ma la risposta è lì, Martina: un lampo, d'improvviso; è nel tennis, nella racchetta, nella gioia di esserci, di stare su quel campo, di farti ammirare e lodare.
Luce d'altro mondo negli occhi, 5-2, 5-3, 5-4 servizio Mauresmo.
40-15 Hingis. A un passo dall'impattare quello che sembrava compromesso, dall'impattare quell'ennesimo segnale, pensavi, che sembrava dire che questo sport non fa più per te.
Amelia non è una fessa: ritorna in sè e fa 40 pari.
Serve, ma Martina non concede nulla, annulla 4 match points. Senza più le gambe, stremata, cicca l'ultimo diritto.
E' finita.

Mentre abbandona il campo, sorridendo di nuovo, si prende un'infinita standing ovation: Amelia ha vinto, ma è Martina ad uscire a testa alta.
Delicata, piccola, con i segni del destino in quelle mani fragili, che tremano ancora di gioia.
Le domande restano, Martina.
E le risposte le sta dando, giorno dopo giorno, il destino.

2 Comments:

  • At 15 novembre, 2006 03:50, Anonymous Anonimo said…

    Ma com'è la 4.10? No, vogliamo parlarne? Per noi Nippentacchiani della prima ora è una manna. Voglio sapere come t'è parsa.
    E soprattutto: quanto è bello Marlowe sulla scala? E quanto deve morire Kimberly?

    Maro' notte insonne anche stanotte, e fra qualche ora mi alzo e sono già alzato da una vita, e tutto il giorno di oggi in giro per l'università, e poi "Addio Gori" di Alessandro Benvenuti al teatro Puccini alle 21. Secondo me muoio prima. Addio Gori veroddio.

    Ah, aggio messo il tuo blog fra i link consigliati.

    Ciao Junk!

     
  • At 15 novembre, 2006 12:44, Blogger Il_Marchese said…

    Ma secondo te ci sarà mai una serie che solo lontanamente potrà avvicinarsi alla bellezza commovente di questa stagione 4?
    Puntata meravigliosa, anche questa: il nano (non lo chiamerò mai per nome, quel coso fastidioso) sulla scala è una perla rarissima, porta dentro la storia della sua vita in una sola immagine, Kimberly è una troia più infausta della Petrova, alla quella battuta tremenda (scena che mette in ridicolo di Scientology, tra l'altro, grande Murphy) Julia doveva tirarle una slavina di corpi contundenti, e la meraviglia dei richiami al passato, quello straordinario Escobar che chiude - finalmente - un capitolo della vita di Sean, insegnandogli non solo ad agire con Giulietta, ma comportandosi da uomo d'onore dei tempi andati, lasciandogli il cadavere in casa, moralità grottesca di mafia antica.
    Merril, altro eco di storie passate (allora stavo studiando una delle follie freudiane -non riesci ad essere qualcuno, vuoi rubargli la faccia, una deviazione Goffamaniana quasi, che forse fu il punto che fece innamorarmi perdutamente di nip/tuck), ancora pazzo, disperatamente ormai.
    Chris mi fa proprio una figura di merda, stavolta: e non dirmi che non dispiace anche a te; sarebbe stato lo sputtanamento definitivo di quell'odiosa oca bionda.
    Che pare abbia compiuto il crimine perfetto.
    Cammeo finale: Sean al telefono denuncia l'omicidio, Giulia che chiede cos'è successo, "ho avuto una storia con Monica", risponde, quasi a dire questo sì che conta, questo è il punto di dire basta a tutte le bugie, dopo che la coscienza cattiva, incarnatasi, è apparentemente scomparsa dalla sua vita.
    Senza fiato.

    Anch'io ho dormito pochissimo, e sono andato al lavoro come uno zombie.
    Dovremmo forse capire che non abbiamo più quindici anni...

    E grazie infinitissime per il link: sono onorato, tu già c'eri da un po', adoro la tua prosa e la straordinaria follìa che metti là dentro, oltre alla struttura pazzesca di quel blog.

     

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