As câmaras da memória

Diario di un(o che continua a confermarsi un) antieroe
Vortici di pensieri disordinati: un italiano che ha anche vissuto a Lisbona, ma non per fare l'er*smus
"La vita per te é solo un pretesto per scrivere a ruota libera" (simon tanner aka humpty dumpty)
"Io lavoro, eri tu quello che faceva cazzate!" (Franca)

martedì, febbraio 17, 2009

I fratelli Gallagher e l'incorreggibile imperfezione del destino.

Ci ho messo quindici anni, e quindicimila chilometri, per vedere per la prima volta gli Oasis dal vivo, in un Pavilhão Atlantico tutt’altro che esaurito, e probabilmente l’attesa non piu’ spasmodica dovuta al fatto che i due di Manchester mi abbiano fatto compagnia in una parentesi, ormai, definibile breve della mia vita, e alquanto lontana (dopo Be Here Now mi sentii abbastanza tradito da non doverne piu’ sentire il bisogno di tenermeli al fianco in modo costante) mi hanno confermato quelle impressioni che su cd avevano suscitato: una band che vive coscientemente il viale del tramonto, attraversandolo con stile e dignità senza grossi colpi di genio, sopratutto dal vivo. L’impressione della minestrina e del compitino, non oltre una sufficienza oltretutto guadagnata principalmente per meriti acquisiti, mi ha così tanto stupito –negativamente- che abbandono sin da subito il progetto che avevo imbastito per redigere questo post: essendomi ritrovato attorniato da una folla variopinta di lattanti (la media oscillava tra i 12 e i 16 anni) alquanto inaspettata, ho passato gran parte del concerto a urlare offese ai confini dell’irripetibile alle nuove generazioni lí presenti, e chi ne ha subito le peggiori conseguenze è stata una malcapitata coppietta imberbe di fronte a me. Il gioco mi è stato facile, e dagli Oasis non è che manchino le sponde: “where were you while we were getting high?” Ma nemmeno nelle palle dei vostri padri, nel 1994, scusate la volgarità. Slide Away ascoltata la prima volta in radio due giorni dopo l’uscita non è come aver trovato tra i vecchi cd del fratello maggiore una copia di Definitely Maybe 13 anni dopo (e sono generosissimo con le date) e aver provato simpatia per quel lamento disperato ineccepibilmente british. O ignorare la versione di latino per tenere il televisore acceso su MTV e sorbirsi tremende sessioni di hip-hop (ancora agli albori) nell’attesa spasmodica di quella straordinaria canzone che avevo ascoltato il ritornello di sfuggita il giorno prima piu’ o meno alla stessa ora, Wonderwall, mi sembra, degli óasis (ché mica la conoscevamo la pronuncia giusta, e noi si italianizza tutto), non è come averla scoperta perché è il jingle di qualche pubblicità o sta nella colonna sonora di American Pie 37. Che Wonderwall l’abbiamo vista nascere, crescere, diventare eterna, quando ancora una canzone poteva eternizzarsi e durare un’intera esistenza come Smells Like Teen Spirit, e quindi l’abbiamo interiorizzata TUTTI, nella nostra generazione, tanto quanto i nostri padri hanno interiorizzato Stairway to Heaven, per dire, che è una canzone eterna ma non sarà mai nostra fino in fondo, o come i ragazzi di oggi interiorizzeranno, che so, boh. Non so.
Interiorizzeranno, spero.
Qualcosa.

Ma non è per male, giuro, con quale faccia potrei scrivere queste parole, se vado ai concerti dei Cure a recitare a memoria Three Imaginary Boys, quando nel ’78 i miei si erano sposati da pochi mesi. Anzi, mi sento di chiedere scusa ad Ana e Tomás, li avrei ribattezzati così i due protagonisti di quello che sarebbe stato il mio racconto, due compagni di classe, di una seconda liceo, che so, di un bairro sociale tipo Loures. Lui non aveva molto coraggio, e non aveva la forza di affrontare il suo sguardo, ma lei, in un impeto di istinto materno, classico nelle 14enni di oggi, aveva preso l’iniziativa e l’aveva invitato a studiare a casa sua (a noi succedeva il contrario, ma ormai si sono scambiati i ruoli, vedete che sono preparato), quel giorno sull'autobus, e avevano trovato il cd della band preferita della sorella maggiore. Aveva una copertina strana, e blablabla, i testi sui diari, blablabla, live forever è la nostra canzone, blablabla e finalmente arrivano gli Oasis, vanno al concerto della loro vita, che corona il loro amore, ed è stato tutto perfetto nonostante un ventottenne alle loro spalle continuasse, ogni qualvolta i Gallagher attaccassero con un pezzo del quale disconoscevano l’inizio, ad urlare come un ossesso “questo è per voi bambini!” o “un altro pezzo per i bambini, qui!”, oppure “dove eravate quando è uscito morning glory, ragazzini del cazzo!”, in un accento strano. Che ne sa, lui, del loro amore eterno. E dei loro baci eterni rubati al tempo eccetera eccetera eccetera..

Perché gli Oasis, fondamentalmente, facevano parte di quella mia età. Ed era a quell’età che sarei dovuto andare a vederli, per non rimanere basito di fronte a 10 ragazzetti che si producevano nel gioco della bottiglia per ingannare l’attesa (per me terribile: i Gallagher sono in fissa con il rock anni ’60, come conferma dig out your soul, e i cd d’apertura erano solo tributi a cover band dei rolling stones) del concerto, per non rispondere rabbuiatissimo “tu che dici?” ad una povera ragazzetta che mi ha umilmente chiesto se erano quelli gli Oasis, quando il gruppo spalla (pessimo e non aggiungo altro) è salito sul palco, per reprimere un inarrestabile bisogno di vomitare alla vista di una mia collega, tristissima, che prima del concerto beve il caffè e mangia i crackers (ma dove cazzo sei vissuta, finora, rimani a casa a guardare telenovelas, per favore). Perché a quell’età ci si scriveva sui diari parole leggere, si viveva sulle nuvole, si riusciva a passeggiare in un paesino di una provincia calabrese come se fosse nel grigio di Manchester e sognare che fosse possibile, e ci scrivevamo le canzoni sui diari, e quella stronza è rimasta con la mia copia originale di Mellon Collie, e forse se ci sarebbe stato un concerto degli Oasis a Reggio Calabria (Pura Fantascienza) ci saremmo andati, e ci saremmo dati quel bacio che invece non c’è mai stato, perché una cosa è cantarla insieme dal cd, noi due, un’altra è farlo con altre cinquemila persone e pensare che anche circondati da tutta quella gente il mondo è solo nostro. E nessuno lo avrebbe mai capito.

Ma il destino non ce l’ha permesso, perché ci ha fatti nascere in un posto dimenticato dagli uomini, e non ha permesso a Tomás e Ana di baciarsi per la prima volta su The Masterplan, perché sono figli di un mondo diverso, e quello è stato solo un bacio in piu’, perché anche se hanno potuto vedere gli Oasis dal vivo nel cuore della loro incantata storia d’amore, che credono sia eterna e destinata a sconfiggere persino la morte, non ne hanno potuto vivere la crescita e l’entusiasmo di una musica nuova che cresceva insieme a loro, che cantava di spensieratezze e di scalate inarrestabili. Che faceva sentire onnipotenti ed eterni. Avevamo, noi e i Gallagher, il mondo in mano, ché abbiamo pensato tutti di essere eterni, a 16 anni, ma i ragazzi di oggi sono piu’ disincantati di noi, e quella favola è finita anche per i due Gallagher, che dopo due strepitosi album, e una rapida passeggiata su una Supernova di Champagne, si sono ridotti ad essere accolti da piogge di pietre o a suonare per pochi intimi, per noi, che abbiamo un lavoro piatto e guardiamo senza grosse pretese un film al giorno, senza mai sorridere se non per far buon viso a cattivo gioco. Il destino è stato imperfetto con noi, ma anche con loro, gli ha dato tanto, gli ha tolto molto. Proprio quando sembrava che non avrebbe mai spesso di donare gioia.

È per questo che il concerto ha avuto un sapore amaro, poco intimo, strano per una persona come me, per l’amore che provo per i due di Manchester. Ho cantato Wonderwall, Slide Away, Supersonic, Champagne Supernova, Rock’n Roll Star, Cigarettes & Alcohool, Morning Glory, Masterplan, DL Back in Anger, e ascoltato la chiusura storica con I am the Walrus, solo per dire, beh, alla fine l’ho fatto. Gli altri pezzi li ho ascoltati e basta, con un’attenzione critica e poco partecipata come ascolto il 90% della musica nuova che mi passa per le mani. Forse il 100%.
Eppure i due Gallagher stavano bene, qualche battuta, la solita arroganza. Noel, il meno stronzo, (Natalino da sempre), ci ha chiesto se eravamo tutti inglesi, se lo amavamo, se possiamo intercedere perché mourinho vada al Manchester City.
Da vecchio amico, cosciente che niente sarà piu’ come prima. Ma quel prima nessuno potrà mai cancellarlo.

Perché che lo si voglia o no, quel destino gli Oasis se lo sono costruito. E Noel ha avuto la forza d’animo, alla fine di “Don’t Look Back In Anger”, di dirci “You’re welcome, fuck you”. Come se fossimo noi a doverlo ringraziare.
E come se non avesse tutto il diritto di dircelo.
Chi ha scritto un pezzo del genere, eterno almeno nel momento che esiste, ed esiste ogni volta che continuerà a rallegrare i nostri giorni, a ricordarci di primavere su motorini, o di occhi neri e grandi, di vicoli affollati di Manchester, di calure di fine inverno lisboeta, di amori che nascono, di 16 anni nel 2009, non ha bisogno di aggiungere molto altro, e non puo’ far altro che nostalgicamente ricordarlo ogni notte a sé stesso, dannandosi per l’incompletezza del destino che gli ha squagliato le ali a un metro da sole.
E farlo rivivere ogni notte, renderlo ancora eterno, per un attimo in piu’.
Per tutti gli attimi dell’eternità che lo stesso destino non potrá mai cancellare.

“Don’t look back in anger”,
I heard you say.
But It’s not today.

7 Comments:

  • At 20 febbraio, 2009 15:46, Anonymous Anonimo said…

    Ma nemmeno nelle palle dei vostri padri..

    nipihunter

     
  • At 20 febbraio, 2009 15:46, Anonymous Anonimo said…

    Ma nemmeno nelle palle dei vostri padri..

    nipihunter

     
  • At 23 febbraio, 2009 02:28, Anonymous Anonimo said…

    olá!!!

    Ainda não sei se vou ter um menino ou uma menina, mas assim que souber digo.

    Estámos à tua espera

     
  • At 25 febbraio, 2009 22:13, Blogger Il_Marchese said…

    Olá querida! Claro que tenho de ficar informado... Achava de lá ir pelo teu aniversário... Mas ficamos em contacto...

     
  • At 11 marzo, 2009 17:51, Anonymous Anonimo said…

    Anche tu italiano in Portogallo? Sto scoprendo che siamo una marea!!!

     
  • At 12 marzo, 2009 22:12, Blogger Il_Marchese said…

    E abbiamo anche studiato a messina entrambi.
    Comunque è per questo che sto meditando di emigrare da qualche altra parte :P

     
  • At 13 marzo, 2009 17:56, Anonymous Anonimo said…

    No no, io non ho studiato a Messina ma... sono di Messina! Emigrerai altrove ma ti avviso che noi italiani siamo davvero dappertutto!!!

     

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