Maestoso.
La parola che si ripeteva nella mia mente ogni momento che mi fermavo a pensare a quello che mi accadeva attorno era solo "maestoso".
I
Nine Inch Nails, Trent Reznor, non sono mai stati, per me, un gruppo per cui sacrificare interi pomeriggi, giornate, ore di sala prove, o addirittura per il quale macinare chilometri lontano lontano da casa.
I NIN sono un gruppo che albergava nelle cassettine-compilation di quegli anni '90 tra Smashing, Soundgarden, Six By Seven, dai gusti indefiniti, dal decidere tra Oasis e Blur o tra Cure e Smiths, e ciò si riverbera sin dal momento che entro nel Coliseu di Lisboa, andando per la prima volta a vedere un
Concerto di questo livello, di banda-mostro-sacro, a 300 metri da casa mia,a piedi.
Il Coliseu, un vero e proprio teatro, in stile decadente, ovviamente, lisboeta, con i ragazzi (e meno ragazzi) tutti più o meno della mia età, con le magliette di parigi '97 o dei Lightining Bolt, l'immancabile Cure (pensavate che non li nominassi, vero?), il brizzolato 4AD e la grassottella dei Ramones (ma perchè i Ramones stanno sempre sulle grassottelle?) - solo quattro/cinque inglesi hanno comprato la felpa NIN a 25 euro, stasera.
Li vedo accovacciati di fronte al palco, a cantare in coro i testi di Reznor, e penso che loro abbiano meritato quel posto molto più di me, nonostante lì davanti, in prima fila, ci sia ancora spazio per appollaiarsi alla balaustra... Così, scelgo un seggiolino in galleria, e li guardo, in nero e coi capelli tinti, ragazze piene di ferro e piercing, colore verde e capelli biondi, e ripenso a quando quel posto era mio... In altri momenti, in altri tempi.
Apre il concerto una banda di cazzoni, tali POPO, sui quali soffermarsi più di tanto sarebbe reato.
Batterista-cantante occhiale scuro, chiatrrista seconda voce tipo quello dei Bloc Party, bassiste nerd e tastierista piegato. Una roba indefinita genere Rage Against the Machine.
E finalmente entra Reznor.
Entra Reznor e inizia lo spettacolo.
Come detto, le canzoni dei NIN, bene o male, le conoscevo tutte, ne avrò cantate pure 5/6. Eppure le due ore che seguono, senza neppure una pausa (ma che droga prende, Reznor?), con un tizio con le basette bianche, basso, grasso col culo grosso, che canta senza steccare mai, che regala brividi con urla disperate o sussurri delicati, con quella voce inconfondibile, rimarranno indimenticabili negli anni.
Reznor è una macchina, è genio allo stato puro, e questa non é una novità: tutto sommato quello che ascolto è solo farina del suo saccom il casino di effetti, il noise che non stanca, l'industrial melodico che è riuscito a rendere un marchio di fabbrica.
Salta, balla, recita, si butta tra il pubblico, tira oggetti, va in giro per il palco al buio con una luce intermittente.
Le arie più ovattate sono accompagnate da luci verde scuro intenso, giochi d'azzurro e rosso sui deliri più pesanti, tripudio di bianco alla fine dei pezzi melodici, e oro sul protagonista al piano quando dolcemente sussurra "my sweetest friend".
E avanti così, mentre penso al dilettantismo che c'è in giro: un uomo così piccolo è capace di generare uno spettacolo continuo, mentre giù si dimenano e pogano, un animale da palco che coinvolge centinaia di persone in modo diretto, al terzo concerto in tre giorni.
Molti dovrebbero smettere anche di tenerla in mano, una chitarra.
Dimena il culone piazzandosi di profilo, in camicia militare e pantalone di pelle, col basso metallico e il chitarrista che si muove tipo dark, il batterista
monstre e il tastierista ai cori e moog.
In sostanza, già oggi Reznor è tornato un magnifico genio, troppo estremo per i miei gusti, che continuerò ad ascoltare saltuariamente, e nei suoi dischi continuerò a skippare la terza, la quinta e la penultima; ma, di sicuro, non ho
mai e sottolineo
mai assistito ad uno spettacolo così meraviglioso, nonostante poco, pochissimo fosse
mio.
L'ho pensato, me lo sono chiesto, se tutto questo fosse stato figlio soltanto della mia condizione attuale, dell'essere a Lisbona, della maturità acquisita dei miei ascolti, del fatto che i NIN, in qualche modo, hanno fatto parte della mia adolescenza.
Niente di tutto questo.
Il quadro dipinto da Reznor è divino, se alla fine del concerto di un gruppo che non sarà mai la mia tazza di tè ne chiedevo ancora e ancora e ancora.
Esco dal Coliseu, cosciente che questa esibizione mi ha, fuori da ogni considerazione banale, segnato dentro, profondamente. Mi ha lasciato delle emozioni forti, incontrollate, un coinvolgimento che mai, neppure per i miei adorati Cure per i quali contavo i giorni, o il primo Litfiba con i miei fratelli di una vita.
Torno a casa, e nello Chiado, un po' prima della Brasilena, un mendicante nascosto in un anfratto buio intona un disperatissimo e incantatore fado.
Ne ho fatta, di strada, per sentirmi così.
11/02/2007, Nine Inch Nails, Lisboa.
Il miglior concerto della mia vita.
Maestoso.