As câmaras da memória

Diario di un(o che continua a confermarsi un) antieroe
Vortici di pensieri disordinati: un italiano che ha anche vissuto a Lisbona, ma non per fare l'er*smus
"La vita per te é solo un pretesto per scrivere a ruota libera" (simon tanner aka humpty dumpty)
"Io lavoro, eri tu quello che faceva cazzate!" (Franca)

martedì, febbraio 17, 2009

I fratelli Gallagher e l'incorreggibile imperfezione del destino.

Ci ho messo quindici anni, e quindicimila chilometri, per vedere per la prima volta gli Oasis dal vivo, in un Pavilhão Atlantico tutt’altro che esaurito, e probabilmente l’attesa non piu’ spasmodica dovuta al fatto che i due di Manchester mi abbiano fatto compagnia in una parentesi, ormai, definibile breve della mia vita, e alquanto lontana (dopo Be Here Now mi sentii abbastanza tradito da non doverne piu’ sentire il bisogno di tenermeli al fianco in modo costante) mi hanno confermato quelle impressioni che su cd avevano suscitato: una band che vive coscientemente il viale del tramonto, attraversandolo con stile e dignità senza grossi colpi di genio, sopratutto dal vivo. L’impressione della minestrina e del compitino, non oltre una sufficienza oltretutto guadagnata principalmente per meriti acquisiti, mi ha così tanto stupito –negativamente- che abbandono sin da subito il progetto che avevo imbastito per redigere questo post: essendomi ritrovato attorniato da una folla variopinta di lattanti (la media oscillava tra i 12 e i 16 anni) alquanto inaspettata, ho passato gran parte del concerto a urlare offese ai confini dell’irripetibile alle nuove generazioni lí presenti, e chi ne ha subito le peggiori conseguenze è stata una malcapitata coppietta imberbe di fronte a me. Il gioco mi è stato facile, e dagli Oasis non è che manchino le sponde: “where were you while we were getting high?” Ma nemmeno nelle palle dei vostri padri, nel 1994, scusate la volgarità. Slide Away ascoltata la prima volta in radio due giorni dopo l’uscita non è come aver trovato tra i vecchi cd del fratello maggiore una copia di Definitely Maybe 13 anni dopo (e sono generosissimo con le date) e aver provato simpatia per quel lamento disperato ineccepibilmente british. O ignorare la versione di latino per tenere il televisore acceso su MTV e sorbirsi tremende sessioni di hip-hop (ancora agli albori) nell’attesa spasmodica di quella straordinaria canzone che avevo ascoltato il ritornello di sfuggita il giorno prima piu’ o meno alla stessa ora, Wonderwall, mi sembra, degli óasis (ché mica la conoscevamo la pronuncia giusta, e noi si italianizza tutto), non è come averla scoperta perché è il jingle di qualche pubblicità o sta nella colonna sonora di American Pie 37. Che Wonderwall l’abbiamo vista nascere, crescere, diventare eterna, quando ancora una canzone poteva eternizzarsi e durare un’intera esistenza come Smells Like Teen Spirit, e quindi l’abbiamo interiorizzata TUTTI, nella nostra generazione, tanto quanto i nostri padri hanno interiorizzato Stairway to Heaven, per dire, che è una canzone eterna ma non sarà mai nostra fino in fondo, o come i ragazzi di oggi interiorizzeranno, che so, boh. Non so.
Interiorizzeranno, spero.
Qualcosa.

Ma non è per male, giuro, con quale faccia potrei scrivere queste parole, se vado ai concerti dei Cure a recitare a memoria Three Imaginary Boys, quando nel ’78 i miei si erano sposati da pochi mesi. Anzi, mi sento di chiedere scusa ad Ana e Tomás, li avrei ribattezzati così i due protagonisti di quello che sarebbe stato il mio racconto, due compagni di classe, di una seconda liceo, che so, di un bairro sociale tipo Loures. Lui non aveva molto coraggio, e non aveva la forza di affrontare il suo sguardo, ma lei, in un impeto di istinto materno, classico nelle 14enni di oggi, aveva preso l’iniziativa e l’aveva invitato a studiare a casa sua (a noi succedeva il contrario, ma ormai si sono scambiati i ruoli, vedete che sono preparato), quel giorno sull'autobus, e avevano trovato il cd della band preferita della sorella maggiore. Aveva una copertina strana, e blablabla, i testi sui diari, blablabla, live forever è la nostra canzone, blablabla e finalmente arrivano gli Oasis, vanno al concerto della loro vita, che corona il loro amore, ed è stato tutto perfetto nonostante un ventottenne alle loro spalle continuasse, ogni qualvolta i Gallagher attaccassero con un pezzo del quale disconoscevano l’inizio, ad urlare come un ossesso “questo è per voi bambini!” o “un altro pezzo per i bambini, qui!”, oppure “dove eravate quando è uscito morning glory, ragazzini del cazzo!”, in un accento strano. Che ne sa, lui, del loro amore eterno. E dei loro baci eterni rubati al tempo eccetera eccetera eccetera..

Perché gli Oasis, fondamentalmente, facevano parte di quella mia età. Ed era a quell’età che sarei dovuto andare a vederli, per non rimanere basito di fronte a 10 ragazzetti che si producevano nel gioco della bottiglia per ingannare l’attesa (per me terribile: i Gallagher sono in fissa con il rock anni ’60, come conferma dig out your soul, e i cd d’apertura erano solo tributi a cover band dei rolling stones) del concerto, per non rispondere rabbuiatissimo “tu che dici?” ad una povera ragazzetta che mi ha umilmente chiesto se erano quelli gli Oasis, quando il gruppo spalla (pessimo e non aggiungo altro) è salito sul palco, per reprimere un inarrestabile bisogno di vomitare alla vista di una mia collega, tristissima, che prima del concerto beve il caffè e mangia i crackers (ma dove cazzo sei vissuta, finora, rimani a casa a guardare telenovelas, per favore). Perché a quell’età ci si scriveva sui diari parole leggere, si viveva sulle nuvole, si riusciva a passeggiare in un paesino di una provincia calabrese come se fosse nel grigio di Manchester e sognare che fosse possibile, e ci scrivevamo le canzoni sui diari, e quella stronza è rimasta con la mia copia originale di Mellon Collie, e forse se ci sarebbe stato un concerto degli Oasis a Reggio Calabria (Pura Fantascienza) ci saremmo andati, e ci saremmo dati quel bacio che invece non c’è mai stato, perché una cosa è cantarla insieme dal cd, noi due, un’altra è farlo con altre cinquemila persone e pensare che anche circondati da tutta quella gente il mondo è solo nostro. E nessuno lo avrebbe mai capito.

Ma il destino non ce l’ha permesso, perché ci ha fatti nascere in un posto dimenticato dagli uomini, e non ha permesso a Tomás e Ana di baciarsi per la prima volta su The Masterplan, perché sono figli di un mondo diverso, e quello è stato solo un bacio in piu’, perché anche se hanno potuto vedere gli Oasis dal vivo nel cuore della loro incantata storia d’amore, che credono sia eterna e destinata a sconfiggere persino la morte, non ne hanno potuto vivere la crescita e l’entusiasmo di una musica nuova che cresceva insieme a loro, che cantava di spensieratezze e di scalate inarrestabili. Che faceva sentire onnipotenti ed eterni. Avevamo, noi e i Gallagher, il mondo in mano, ché abbiamo pensato tutti di essere eterni, a 16 anni, ma i ragazzi di oggi sono piu’ disincantati di noi, e quella favola è finita anche per i due Gallagher, che dopo due strepitosi album, e una rapida passeggiata su una Supernova di Champagne, si sono ridotti ad essere accolti da piogge di pietre o a suonare per pochi intimi, per noi, che abbiamo un lavoro piatto e guardiamo senza grosse pretese un film al giorno, senza mai sorridere se non per far buon viso a cattivo gioco. Il destino è stato imperfetto con noi, ma anche con loro, gli ha dato tanto, gli ha tolto molto. Proprio quando sembrava che non avrebbe mai spesso di donare gioia.

È per questo che il concerto ha avuto un sapore amaro, poco intimo, strano per una persona come me, per l’amore che provo per i due di Manchester. Ho cantato Wonderwall, Slide Away, Supersonic, Champagne Supernova, Rock’n Roll Star, Cigarettes & Alcohool, Morning Glory, Masterplan, DL Back in Anger, e ascoltato la chiusura storica con I am the Walrus, solo per dire, beh, alla fine l’ho fatto. Gli altri pezzi li ho ascoltati e basta, con un’attenzione critica e poco partecipata come ascolto il 90% della musica nuova che mi passa per le mani. Forse il 100%.
Eppure i due Gallagher stavano bene, qualche battuta, la solita arroganza. Noel, il meno stronzo, (Natalino da sempre), ci ha chiesto se eravamo tutti inglesi, se lo amavamo, se possiamo intercedere perché mourinho vada al Manchester City.
Da vecchio amico, cosciente che niente sarà piu’ come prima. Ma quel prima nessuno potrà mai cancellarlo.

Perché che lo si voglia o no, quel destino gli Oasis se lo sono costruito. E Noel ha avuto la forza d’animo, alla fine di “Don’t Look Back In Anger”, di dirci “You’re welcome, fuck you”. Come se fossimo noi a doverlo ringraziare.
E come se non avesse tutto il diritto di dircelo.
Chi ha scritto un pezzo del genere, eterno almeno nel momento che esiste, ed esiste ogni volta che continuerà a rallegrare i nostri giorni, a ricordarci di primavere su motorini, o di occhi neri e grandi, di vicoli affollati di Manchester, di calure di fine inverno lisboeta, di amori che nascono, di 16 anni nel 2009, non ha bisogno di aggiungere molto altro, e non puo’ far altro che nostalgicamente ricordarlo ogni notte a sé stesso, dannandosi per l’incompletezza del destino che gli ha squagliato le ali a un metro da sole.
E farlo rivivere ogni notte, renderlo ancora eterno, per un attimo in piu’.
Per tutti gli attimi dell’eternità che lo stesso destino non potrá mai cancellare.

“Don’t look back in anger”,
I heard you say.
But It’s not today.

martedì, febbraio 10, 2009

Ah, fossi un decoratore d'interni... #8


Non sarà bello da dire, ma la storia di Eluana Englaro (che rimane comunque nel mio immaginario un tizio sloveno dal nome simpatico passato per l’Atalanta qualche anno fa) vista da fuori mi toglie ogni lontana nostalgia della mia nazione, perché mi sembra sempre piu’ evidente la caduta ormai irreversibile verso gli abissi della piu’ bieca incoscienza popolare. Schiavi della moda del momento, o della notizia-bomba che víoli il privato di arrivisti catapultati a forza nella copertina di novella 2000 o delle prime pagine di giornali e telegiornali, ormai il senso della realtà è stato veramente smarrito in modo irrecuperabile, altrimenti non si spiegherebbe per quale recondita ragione non ci sia stata un’insurrezione popolare al primo uso del decreto legge quale arma per smentire una decisione della magistratura, che sarà anche bolscevica, nazifascista, democraticocristiana, liberale e tutto quel che si vuole, ma è un organismo indipendente dal potere politico per definizione dai tempi della presa della bastiglia, ma evidentemente nemmeno miliardi di ettolitri di sangue versato e milioni di anime sacrificate alle lotte per la libertà e l’uguaglianza riescono a svegliare la mente del popolo di merda quale siamo diventato, capace di permettere che venga negato il diritto al trattamento medico agli emigrati (sono emigrato anch’io e vi assicuro che non sarebbe certamente piacevole vedersi una porta sbattuta in faccia in un ospedale, a meno che non sia portoghese, e allora ringrazi per il favore che ti fanno) o l’obbligo della delazione dei medici (calpestando giuramenti di Ippocrate redatti migliaia di anni fa, in modo del tutto impunito), che sarebbe comunque nulla, se lo si paragona al diritto alla parola ma sopratutto alla legiferazione conferiti a gente del calibro di calderoli, meloni e gasparri. E lascio anche qui una prova della mia immutata arroganza nella difesa delle mie ragioni, che evidentemente sono sempre piu’ ragionevoli di molte altre, essendo che dal primo giorno che ho aperto la Bellissima Costituzione della Repubblica Italiana (e ancora giocavo coi playmobil, ché è stato piu’ di 18 anni fa, e mi ricordo che organizzavo con le figure dei giocattoli tedeschi moti popolari che venivano spesso conclusi dall’elezione democratica di un monarca in regime costituzionale. Potete crederci o no ma io giocavo così) mi sono accorto che l’arma del decreto legge è la peggiore minaccia proponibile all’ordinamento costituito nel 1946, ma, data la sua applicabilità solo nei casi di necessità e urgenza, e l’affidamento del giudizio di validità del criterio di applicazione alla responsabilità dei governanti, è stata resa del tutto ininfluente ai fini del rovesciamento dell’ordine costituito, almeno finché al Parlamento italiano ci sono entrati De Gasperi, Aldo Moro, persino Marco Pannella e Ilona Staller, che han dimostrato struttura morale e responsabilità civile ben maggiori degli attuali barbari (cit.) per i quali continuate a pagare le tasse, e che ovviamente prima o poi avrebbero pensato a qualche soluzione per scavalcare qualunque decisione degli organi di garanzia e difesa dello stato.

Onestamente non credevo riuscissero a capirlo tanto presto, dopotutto silvio sta al potere da soli 15 anni, e date le profondissime ignoranza, idiozia e atrofia mentale degli attuali governanti (l’esecutivo italiano è sostanzialmente costituito da nani, porci, pervertiti, alcolizzati e puttane), sarebbe stata un’impresa titanica arrivarci dopo così poco tempo, epicamente paragonabile ad uno sforzo disumano quale Sansone coi filistei o al mio ex coiquilino (guardia di sicurezza privata poco meno sveglio di uno scoglio da millenni piantato nel cuore dell’oceano indiano) che risolve il cubo di Rubik quando tutti quanti avevamo miseramente fallito e abbandonato l’impresa.
Ma come quando in una fredda mattina di ottobre ******* urló eureka (non proprio eureka, fu un “foda-se, consegui!”, ma detto con il suo inconfondibile incedere svampito con lo sguardo per sempre fisso al vuoto), offrendo allo stupore del mondo intero un barlume di speranza nel futuro dell’evoluzione del genere umano nell'istante in cui ci si rende conto che un conclamato ritardato mentale riesce a mettere 54 quadratini di un cubo in razionale ordine cromatico, mentre s’udiva trionfale l’attacco della colonna sonora di 2001 Odissea nello spazio (infatti è paragonabilissima alla scena della scimmia che scopre l’uso delle ossa ai fini della caccia), allo stesso modo maurizio gasparri deve aver urlato ai colleghi di governo “ho trovato la soluzione” (in realtà qualcuno deve aver raccontato ai bambini come si fanno i figli, perché prima che maurizio gasparri concluda un pensiero si estinguono altre tre volte i dinosauri) e loro hanno finalmente scoperto il fascino proibito dell’arma del decreto legge. Dopotutto è dai tempi di Adamo ed Eva che l’uomo non sa autogestirsi, e se il mondo va a merda è anche perché l’altissimo ci ha creati a sua immagine e somiglianza, no?
Se ci somiglia non aspettatevi molto, figuriamoci la fine della fame e della guerra, e come ulteriore conferma della sua malvagità potete aggiungerci che tra tutti i popoli che abitano il pianeta terra da miliardi di anni ha deciso di far nascere suo figlio da due ebrei… Che stirpe nobile, quella che vendica 6 milioni di avi massacrati nei campi di concentramento sterminando la moltiplicazione per tre della stessa cifra di generazioni di bambini palestinesi… Li ha cercati proprio col lanternino… e non parlatemi del fatto che Maria era vergine, ché qua in Portogallo a Marie vergini 2009 anni dopo (e molto piu’ vecchie della madre di dio ai tempi che lo spirito santo si dette da fare) ci manteniamo ancora con percentuali altissime…

Dove voglio andare a parare è svelarvi il quarto segreto di fatima, ossia un segreto di pulcinella, e cioè che hanno avuto buon gioco a distogliere l’attenzione con scomuniche di preti omosessuali che non scopano da 40 anni e avendo il cervello bruciato dichiarano al mondo stronzate d’altri tempi che appunto in altri tempi avrebbero fatto solo ridere (quel lefebriano è un genio, le camere a gas servivano per disinfettare, ma come fai a prenderlo sul serio), gruppi neofascisti che uccidono a freddo barboni, crociate d’altri tempi di padri protagonisti (poveraccia dopo quasi 20 anni di coma non c’è bisogno di andare in diretta intergalattica per tirarle le spina e mettere fine alle sofferenze senza dover applicare manifesti o tentare di spostare di un millimetro la legge morale di un popolo che ha eletto a larga maggioranza una coalizione nella quale si presentava cotanto premio nobel tale mara carfagna) e grandi fratelli per infilarvi nel posto che avete piu’ caro un decretino legge che in un solo colpo svuota e rende inerti, definitivamente, le prerogative di un magistrato e del Presidente della Repubblica, creando un precedente grave e delittuoso che è soltanto l’alba della creazione del nuovo ordine liberalfascista che sta a cuore non tanto al nano, al quale interessa unicamente il proprio portafogli e del quale, se quella famosa signora di fatima si degna (ma anche lei dev’essere stata creata a immagine e somiglianza e quindi campa cavallo e fatti le canne con quell’erba che cresce, almeno non ci pensi), tra vent’anni non resterà nemmeno la polvere, quanto piu’ a quei cortigiani rozzi, ignoranti, volgari e arroganti dei quali s’è attorniato per garantirsi il mantenimento al potere.

Perché non bisogna essere Costantino Mortati, che in quella tomba si starà scuotendo che nemmeno avesse il ballo di San Vito, per capire quale aberrazione giuridica questi pagliacci hanno messo in atto. La mia unica speranza è che in un impeto rivoluzionario il bavoso chieda davvero la secessione e mi mandino via posta la nuova carta d’identità del regno delle Due Sicilie, per rientrare, maledetto Garibaldi e chi ce l’ha mandato, anche perché la mia soglia di sopportazione per questi quattro lusitani ormai è stata superata da tempo immemore, e lungi da me lamentarmi di una nazione che mi ha adottato come un figlio, anzi meglio, e che mi dá il pane quotidiano piu’ di quanto me ne dia quel tizio dell’immagine e somiglianza (a proposito, il dio dei portoghesi deve essere il gobbo di Notre-Dame, se vige questo postulato, ma se è vero quanto dicono i brasiliani, cioè che dio tifa brasile, si capisce perché questi qua li ha fatti tanto brutti), pero’ mica è la mia terra, Lisbona, e mi son rotto di vederli sempre tristi e disperati e pessimisti, e di fare sempre le stesse identiche cose, e di ascoltarli fare sempre gli stessi identici discorsi, e di subire passivamente un rigore inesistente dal Porto nella partita piu’ importante dell’anno, e dirmi che sono delle azzorre dato che il mio portoghese è ormai piuccheperfetto indicativo ma non riescono a scovarne l’accento, e della loro battute campagnole, e della mancanza di ironia generalizzata tra le bruttissime ragazze che ci vai a passeggio per far loro un favore, ma anche così prima di darsi un bacino bisogna uscire almeno tre settimane e stare attento alle battute, ché se le dici che stasera si è vestita bene (mentendo) ti risponde “lo so” e se cerchi di attaccare bottone dicendo una cazzata qualsiasi che ti passa per la testa o di parlare per metafore sarcastiche, si gira dall’altra parte e ti dimentica in breve, sai com’è, lo scontro culturale è sempre forte, e la madonna di fatima potrebbe incazzarsi di brutto, o offendersi a morte se metti gli occhiali da sole in ascensore perché è maleducazione, ma la verità è che mi trovo così bene che ho addirittura fatto la revisione alla macchina e mi manca il passo successivo per iniziare a mettere delle radici, ma ho così tanto paura di mettere radici che quel passo successivo non riesco a farlo, un po’ come loro che il passo successivo non lo faranno mai (ormai sono portoghese, sì), e forse sarebbe bene fare la valigia prima che sia troppo tardi e che cominci anch’io ad indignarmi se il presidente del consiglio socrates ha preso una mazzetta per far aprire un negozio al duty free di un aeroporto che ancora devono costruire e chiederne le dimissioni, poveri dilettanti lusi, quando invece sono nato nella terra del ponte sullo stretto e il mio presidente del consiglio lasciamolo perdere che già ho sviscerato abbastanza l’argomento, e se non fossimo stati creati ad immagine e somiglianza di dio starebbe in galera e avremmo già buttato la chiave nella fossa delle marianne.

Ed è anche per questo che me ne vado a passeggio per l’Europa e sono stato a Dublino per festeggiare il mio compleanno, in una terra invasa da italiani nella quale piove sempre, fa freddo, tira vento, le ragazze hanno le lentiggini e i capelli rossi e parlano come gli elfi, circondato dal mio colore preferito, il verde campeggiante ovunque, da straordinarie pubblicità della guinness, da un grigio tipico, romantico, ripetitivo, malinconico del quale mi sono innamorato quasi subito ma del quale potrei stancarmi presto, non tanto per le temperature per me polari, quanto per l’impossibilità concreta e certificata, economicamente, di fare la spesa o di mangiare negli ottimi ristoranti tipici. Perché dicono che i dubliners sono chiusi, ma chi lo dice, evidentemente, non è mai stato in Portogallo, il popolo piu’ blindato della storia: sono arrivato, mi sono chiuso in un pub e ho conosciuto praticamente tutti, cordiali e simpatici come i lusi non sono mai stati, ‘sti quattro musoni che parlano solo del benf*ca. Solo sono meno alcolizzati, i portoghesi battono tutti. Ed avendo avuto sempre, principalmente, solo amici portoghesi, come pretendete possa credere che esista un popolo col quale non riuscirei ad interagire?

Comunque l’isolamento forzato dall’inerzia del popolo e dalla ripetitività delle abitudini che rendono superflua qualsiasi uscita che non sia per andare al lavoro mi ha fatto concentrare ancora piu’ pesantemente sul pensiero che piu’ mi angoscia negli ultimi tempi: la classifica dei dischi del decennio, e anche se i primi tre posti sono già aggiudicati da diversi anni, ormai, sono in dubbio se sia necessario redigerla a fine 2009 o 2010, e sul numero di dischi da inserire, e se fare una classifica parallela delle discografie o mettere/togliere dalla top ten per meriti acquisiti gente che in questi anni, anche se anonimamente, ha pubblicato.

Procedo dunque a centrare il vero interesse del post, e ad elencare le ultime uscite alle quali ho dedicato una certa attenzione, ma in modo del tutto cronologico, ché ancora siamo a febbraio: gli Animal Collective, da tutti già designati come campioni del 2009, mi sono sembrati sconclusionati come non mai; Panda Bear, mio concittadino, si è bevuto il cervello a forza di andare al lux e ascoltare musica africana; senza né capo né coda, controcorrente a tutte le critiche dell’universo fatte a quest’album, lo boccio senza alcuna pietà. Antony and the Johnsons e Morrissey li ho ascoltati, Morrissey ancora riesce a stupirmi in alcuni suoni (si invecchia anche così, citando Morrissey e i Cure nello stesso post), Antony come sempre lo ascolto tre volte e poi lo abbandono al suo (fortunato, alla luce dei fatti e del rapporto qualità-notorietà) destino; Telefone Tel Aviv (Immolate Yourself) e il ritorno del buon vecchio Barzin (Notes to an Absent Lover) meritano di sicuro una citazione, alcuni pezzi dureranno a lungo nel corso dell’anno, mentre il disco dei Cure, 4:13 Dream, devo essere sincero, mi è piaciuto, non perché sia un disco valido, ma perché è un disco ascoltabile e dunque accettabile, nella misura in cui autocoverizza molti pezzi di Kiss me Kiss me Kiss me e addirittura qualche nota di Disintegration, anche se diverse canzoni le salto spesso quando lo ascolto tutto d’un fiato, e soprattutto Gallupp, dopo piu’ di trent’anni (falso storico ma enfatico, tirate dai trenta gli anni di Dempsey e non facciamo i pignoli, su) ha cambiato il setting del basso. Sul nuovo dei Franz Ferdinand, che ho ascoltato con un’anticipo astrale grazie alle amicizie che mi hanno addirittura permesso di assistere all’intervista al bassista, non dovrei sprecare molto fiato, perché se di appiattimento si parlava, appiattimento c’è stato, ma non ai livelli dei Kaiser Chiefs, che ho visto dal vivo (e se suonano a immagine e somiglianza di dio, l’altissimo è fan di beyoncé) aperti da una band emo virata verso il metal che ha scatenato i miei istinti primordiali e omicidi piu’ beceri, mentre loro si sono presentati al Coliseu con un batterista che ha massacrato tutto il repertorio e si sono sparati gli unici pezzi danzabili che hanno nella prima mezz’ora rendendo del tutto ininfluente la restante ora di spettacolo, mentre Andrew Bird ha composto un disco maturo, Noble Beast, interessante, doppio (anche se lo strumentale è molto sperimentale e mi –sottolineo mi- stanca presto), mentre i veri genî, le grandi scoperte del 2009 sono i Phantom Savage (Checkmate Savage), rock duro, crudo, nudo, violento, post, prodotti da Paul Savage, i Pains of Being Pure At Heart (senza titolo), in bilico tra J&MC e My Bloody Valentine e Gustav Spetz (Goodnight Mr. Spetz), dalla Svezia un album pieno di citazioni di una compattezza spaventosa, oscuro, dark, metropolitano, a volte metal con melodie dolcissime di pianoforte ad ingentilire il tutto, da primissimo posto.
Merita una citazione oltre che la copertina del post la grazia folk di Emmy The Great col suo First Love e i Mono e i Red Sparowes, il ritorno di alcuni tra i miei beniamini preferiti, il post rock piu’ melodico che esista, aggraziati, dolci, dolenti, malinconici.

E sempre l’assoluta preferenza che accordo al cinema anziché alle passeggiate non-sense lisboetas mi ha permesso di osservare attentamente diverse prime visioni, e se Australia è pessimo ma vincerà l’oscar alla sceneggiatura perché Tom Cruise ha litigato con l’Accademia e il molto bello Operazione Valchiria ad opera di Bryan Singer, uno che ha firmato i Soliti Sospetti, passerà ai lati delle grandi manifestazioni di giubilo, i film che ho avuto in loop sono stati il Matrimonio di Lorna, consigliatissimo e soprattutto Tony Manero di Pablo Larrain, crudo, vuoto, spento, dalla fotografia meravigliosa, ritratto dei sogni infranti e della moralità persa di un uomo e d’un popolo all’alba del regime cileno di Pinochet.

La verità è che se fossi un decoratore d’interni avrei un passaporto di un paese cool, ai margini ma per stile e convinzione, e non dovrei preoccuparmi dei destini dell’Italia morente, sarei alto un metro e ottanta, starei insieme ad una tappa portoghese pero’ fighissima e con la frangia e intelligentissima, mangerei solo nei migliori ristoranti giapponesi sushi in porzioni da neonato con le bacchette ed in compagnia di tutti i vips del jet-set anziché tagliatelle ai peperoni, frittatone alla cipolla e vino alentejano al venerdí, parlerei di cose interessantissime come l’arancione delle tende della nuova villa del ministro degli interni collegandomi alla crisi internazionale esprimendo concetti profondissimi senza pero’ dire niente, non mi angoscerei tanto con la filmografia di Sokurov perché tanto penserei che dopo aver visto Milk e Brokeback Mountain il cinema non ha piu’ ragione di esistere, non perderei il sonno dietro a 11 ragazzini in maglia amaranto che si svegliano solo quando giocano col Milan perché il calcio non mi piacerebbe e non dovrei cercare di giustificare in tutti i modi alla mia coscienza l’accettabile col quale ho definito l’ultimo album dei cure perché tanto gli Abba hanno spaccato da sempre i culi a tutti e non c’è mai stata storia per nessuno.

Ma io sono solo un banale contabile, fin troppo spesso creato ad immagine e somiglianza del re dei giudei di cui sopra.

domenica, febbraio 08, 2009

Blocco autoimposto del blogger

Lo so che dovrei aggiornare il blog, e di cose da dire non ne mancherebbero: tra l'altro Lisbona è avvolta dalla nebbia e non troverei di meglio da fare se non redigere due note disperate con la discografia dei Cranes in sottofondo.
E non mi perdo un'uscita musicale/cinematografia, anche la meno degna di nota, e sono stato a Dublino, e la mia indignazione politico/culturale è impennatissima, e mi sto stancando di Lisbona, e tanto per cambiare sono di nuovo innamorato, senza fiducia e senza speranza.
Pero' non mi va di scrivere nulla.