As câmaras da memória

Diario di un(o che continua a confermarsi un) antieroe
Vortici di pensieri disordinati: un italiano che ha anche vissuto a Lisbona, ma non per fare l'er*smus
"La vita per te é solo un pretesto per scrivere a ruota libera" (simon tanner aka humpty dumpty)
"Io lavoro, eri tu quello che faceva cazzate!" (Franca)

domenica, ottobre 29, 2006

Istantanea


Probabilmente questa foto ritrae in modo abbastanza fedele la mia attuale condizione mentale: sono un cazzone snob abbastanza fighetto e supponente.
La vena poetica e interiore di questo blog sta lentamente deteriorandosi, e mi rendo conto che esaurito l'argomento calcio (oh, e ne avrei da scrivere su quelle quattro favolose pere di ieri sera), tennis femminile (ho visto la Vaidisova l'altro ieri malmenare una Jankovic in gran forma), musica (ho ascoltato, dietro loro richiesta, gli splendidi tedeschi DKdent, electro docile e melodica, pezzi che spaccano e vanno in loop: da seguire) mi rimane ben poco da aggiungere, a meno che non volessi buttarla in politica ma sto ridendo così tanto che non mi va proprio di esibirmi in comizi random.
Potrei parlare di nip/tuck, ma ora vado a guardarmi l'episodio numero 8 della quarta serie con i sottotitoli in portoghese e penso che in generale è difficile commentare l'assoluta bellezza di questa stagione senza essere riduttivi nell'elogio al genio di Murphy.
Potrei bestemmiare ogni divinità causa inspiegabile fallimento in Hattrick, un gorgo infinito in cui sto trascinando anche un amico che si ostina ad ascoltare i miei consigli, o potrei raccontarvi di pc andati per sempre e ripresisi grazie al nuovo alimentatore, o potrei dirvi di lacrime entrando in una tabaccheria o boh.
Ne succedono di cose, ma non capisco se hanno la caratteristica del quotidiano o se questa caratteristica gliela conferisco io.

In questo secondo caso, mi rendo conto che forse sto pensando molto di meno.
Anche perchè quando quel tizio ha parlato del suo lavoro in Grecia, il cuore m'è diventato piccolo piccolo.

Vorrei scrivere un post moralistico, ma io vivo in un bar anni '70 col martini e l'olivetta dentro, porto una giacca scura, le ragazze sono vestite di bianco e i tavolini sono bassi.
Faccio discorsi meravigliosamente inutili.
E ho come l'impressione che questo bar non lo frequenti più nessuno.

sabato, ottobre 21, 2006

Living autumn


Il nuovo album degli Autumn's Grey Solace (i formidabili autori del pezzo che dá il titolo a questo blog) é ancora piú spettacolare dei precedenti, se possibile.
I cari shoegazers, dei quali sono appassionato già da un po', riescono a sfornare un'opera ancora migliore dei due dischi precedenti: il percorso che giunge a Shades of Grey passa attraverso le minori angosce di Riverine, e ci offre undici pezzi meno ansiosi, meno ovattati, struggenti nelle melodie, ma, questa volta, i delay non sono piú lunghissimi e infiniti.
Ancora una volta il viaggio ci porta a paesaggi desolati e disperati, a foreste scure e misteriose, la voce di Erin é sempre tributo alla Fraser, ma con meno impennate irraggiungibili.
Sono riusciti a stare nella mia top ten l'anno passato, riusciranno a raggiungere un'altra volta, in meno di 12 mesi, anche quella di quest'anno.
Sul sito projekt si ascoltano alcuni pezzi.
Sono ispiratissimi.

Il nuovo dei Tiger baby, invece, che pensavo fosse inferiore al precedente come questo blog documentó dopo che ascoltai il masterpiece, dimostra una certa maturità.
Io passo dallo shoegaze nerissimo all'elettronica piú pura, questo é vero, ma loro non si distanziano per nulla dal loro stile.
Definirei Noise Around Me abbastanza accademico, peró si fa ascoltare e piacere.
Pochi svolazzi, discreta sostanza. Di passaggio, se vogliamo, ma non cosí banale.
Meritano un voto alto anche loro.

Mi sono fatto il myspace.
Il myspace é l'ultima frontiera dell'aggiornamento e scoperta della musica che mi piace.
Non posso piú farne a meno.

giovedì, ottobre 12, 2006

Balla con me, ovvero la caduta del trash-pop in Italia.


Per il ciclo “giusto processo a Mauro Repetto”


Ieri sera l’evi rotescion mec miusic, sulla quale era sintonizzato il megaschermo di un locale, ha mandato in continuo una certa Balla con me di due patatone, tali Andrea&Barbara, che mostravano culo e cosce a tutta forza, prive assolutamente di senso della melodia, e di intonazione o voce anche solo lontanamente gradevole.

La canzone parla, senza mezzi termini, di io rocchenroll tu ragazzo tutta casa e dance, balla con me, con quello sguardo che mi sembra dire, tuuu con te non ballo piú, ci stai e poi non ci stai con quel sorriso che fai ma sopratutto io sono cassius clay e ci potevano aggiungere e mo' ti picchio il dee jay.
Prima riflessione di tipo sociologico: se una volta era il maschio metallaro (truzzo) a doversi recare in disco a violentare se stesso e le sue convinzioni alla vana ricerca di una lurida da una botta e via, suddetta lurida che é ovviamente convinta che mozart altri non sia che un deejay del privilege venuto da berlino, qui é la femmina rocchenrolla per sua stessa ammissione, non meglio identificata (presumo un ligabue-style, dentro l’eppiauar che costa la metá, visto anche l'abbigliarsi culo-al-vento-mode delle patatone in questione) a chiedere al proprietario della seicento con stereo da un milione di euri perché ci stai e non ci stai e mo ti picchio il deejay.
Segno dei tempi che corrono, un’inversione dei ruoli ormai piú che consolidata.

Nel video, dunque, le patate scrivono stupidaggini col rossetto su di un vetro, danno le spalle e si tolgono gli indumenti, si praticano dell’autoerotismo senza soluzione di continuitá né un’apparente línea guida, come nemmeno le migliori Paola e Chiara.
Il pezzo ha la formuletta del ritornello tipo mi-do-re chiave per ogni melodia che la senti una volta e non la scordi piú; e questo vale anche per i pezzi piú riusciti degli ascolti piú impegnati a tutti i livelli. Le tre note di sequenza hanno dato origine a tutti i cavalli di battaglia di tutti gli artisti musicali del mondo da almeno quattro generazioni, dal pop al rock al metal al jazz al... fino al twee, al dark e persino all’emo-core, tenendo ben presente che l’emo non esiste.
E’ il punto di partenza del pezzo che spacca, la sequenza in questione; o, almeno, lo é stato: l’abuso che se n’é fatto l’ha fatta diventare il marchio dell’easy, a volte troppo easy, che fa concludere che si tratta di episodi minori, di riempitivi di dischi piú complessi (nella migliore delle ipotesi).
Oltre al ritornello, ci troviamo in presenza anche di alcune stronzate musicalmente cadenzate à la alexbritti, rappate se vogliamo, noi che accusiamo i rappers di avere arrecato all'umanità piú danni della GESTAPO, che garantiscono, dall’altro lato, l’ascolto disattento da parte della gente disattenta: quindi la canzone scorre via, in uno sfumare banale.

Vengo a sapere, successivamente, che le due patatone sono due vee jay di mec miusic
Barbara é una venezualana di 25 anni, Andrea una romagnola, mi pare..
I loro fans, sul sito, le tempestano di ti amo, ti prendo, ti adoro, poesie d’amore e poi ve la prendete con me per quella povera sventurata di Avril Lavigne.

Monsieurs, il piatto é pronto: patate, testo idiota, situazione da disco, melodia studiata a tavolino.
Ma a chi volete darla a bere?
Questo pezzo andava lanciato ad inizio estate, e avreste visto che gran figurone a quel punto.
Adesso chi volete che ci pensi piú?
Ma non é questo che mi preme.

E prometto che non mi lanceró in accuse random alla musica italiana, alla generazione di idioti col culo al vento che vanno in palestra e nemmeno al truzzo status symbol di questa primavera di popolo tricolore.

Mi preme sottolineare, invece, ancora una volta, come sia stato possibile che un uomo come Mauro Repetto sia stato ignorato per anni da tutta l’industria discografica: con tutta la merda trasmessa, ritrasmessa, trita, ritrita, con questa next big thing che non é altro che la prosecuzione dell’ "in alto maré" di recentissima memoria, sparata a raffica quasi a lavaggio del cervello, il nostro doveva avere molte piú opportunità, meritava teste di classifiche internazionali e traduzioni dell’album in 65 lingue, al minimo meritava una chance.

Non so e non voglio sapere se Cecchetto l’abbia ignorato per calcolo utilitaristico o se davvero aveva finito di influenzare la musica anche lui, ma davvero sentire balla con me e poi nual mi appare come passare da ‘tanti auguri a te’ alle quattro stagioni di Vivaldi.
A me queste splendide patate non mi hanno fatto niente, anzi, meglio loro che Syria (e non lo dico a caso meglio loro che Syria, cari amici vecchi e nuovi) ma Zucchero Filato Nero non puo’ piú essere “il punto di non ritorno della musica italiana”, coi suoi contenuti a volte patetici a volte profondissimi di alta moralità, con le sue grida di dolore e aiuto, con i sogni infranti da chi era ‘l’amico, il successo e la follia’, i fallimenti dei progetti immensi.
E se riescono a vendere persino i rutti campionati, vista l’imperante idiozia, perché a Repetto non é accaduto ció che sta accadento a queste patate?
Parafrasando Baricco, autore (che odio, tra l’altro) di un breve saggio sulla trasmissione della cultura sulla Bibbia di due giorni fa, ormai questi mezzi di comunicazione non si rendono piú conto di quello che passano, di come, e qui nemmeno Eco potrebbe rispondere, e fino a che punto costoro influenzano i costumi e non accade viceversa.

Stacchiamoci da questo sogno, da questo VOLER-ESSERE (visto che ormai la categoria del DOVER s’é polverizzata ad appannaggio di questa nuova vera e propria spinta vitale), e guardiamo all’essere, l’essere naturale di Repetto.
Attenzione al richiamo sociologico di Brandi’s Smile e il ‘non mi cachi’.
Repetto é qualcosa che ci appartiene, davvero. Non é la montatura di una storia di lui che non ci sta alla corte delle due patate: é un bel tipo ma é proprio brutto, gli dicono.
Mauro Repetto é uno di noi, oggi piú che mai, oggi piú di Andrea e Barbara, di mecc miusic e delle palestre affollate, di disco e tutto casa e dance.
E’ reale, crede a sé stesso finché si guarda alla specchio, per rendersi conto solo di fronte al confronto con gli altri di essere un misero fallito, portatore sempre, peró, di una dignità che non ha mai perso, che continua a brandire come spada del proprio essere esistente, come vessilo di ogni ripartenza (é ripartenza, non contropiede, in questo caso, ché a Repetto –non piú Repetto Mauro ma categoria Repetto – i contropiedi non sono mai riusciti) dalle ceneri, dal nulla, dal no future, dal fallimento quotidiano alla speranza piú che fideistica, incrollabile ed inspiegabile, nel domani. Nella coscienza di un domani mai avuto e mai raggiungibile.
Nella coscienza del DOVER ESSERE, il giorno dopo, di nuovo, davanti allo specchio.

Mauro Repetto di Andrea e Barbara non é né padre né antesignano, né cugino o parente lontano, signori della corte.
Di fronte a questa balla con me, sulla quale questo blog é arrivato per primo senza timore di smentita, si innalza a fenomeno di nicchia di alto valore musicale, a privata sicurezza per una rivalutazione che, postuma o meno, sarà; di verismo post moderno, autocritica e critica, senso della misura e del relismo umano.

“Balla con me”
No. Non ballo con te.

lunedì, ottobre 09, 2006

Scegliete voi

Un esperanto personale, un esperimento solidale (con me stesso, l'equo e solidale, quanto interesse personale c'é, quant'egoismo, in questa parola, in questa concezione del mondo - e da questo, che vi credete, che non riuscirei a dissettare sulla finanziaria? Poverazzi, con la giacca nera e gli occhiali trasparenti), che mi porta a rilevare che in effetti ancora non ho un titolo per questo post che probabilmente andava scritto pochi minuti fa, di fronte ad una televisão accesa, mentre I feel like I'm speaking about what I think.
Ok, sono portato per le lingue. Che puttanata che ho fatto, ma vuoi mettere o nivel no qual fico agora falando in tutte le maneire che voglio, giuvanottu, e invece a che serve?
Lo dico in portuguese, na maneira che so ele pode perceber: pah, o rei dos burros, tornai-me?
Puó darsi, ma che importa? Sento crescere canzoni su un arpeggio cantato mentre la seconda fa le distorsioni forti, che é? Pop rock? Il dolore superato, tu che chiami quello s'é ammazzato poverazzo, ma com'é arrivato?
Lo so io com'é arrivato. Come ti fermi un secondo a pensare, ma guarda tu: If I do one thing like this, o minuto antes, che penseró? Antes da chegada, claramente.
E quella lá, il suo sguardo, pah.
E' pronta, andrá via.

Com'é bello crescere.

Una volta pensavo, pensavo non in funzione di, pensavo poiché, che i molteplici interessi, pah, erano cosa particolare, discriminante, quando poi ti ritrovi che quegli interessi non li coltivi piu, tanto fichi il re dei burros comunque caraglio.
Allora fichi qua. Ho tradotto maxithlon in portoghese, ho parlato dei cazzi miei a uno che é svenuto e che cazzo, mamma mia.
Coraggio. Boh.

E quello, ma dai, uno dovrebbe sempre essere cosí per ucciderli, sti mezz’uomini (a parole, scemi – guarda te, mi viene in mente eleonora e melloncolli).
And I feel justy like fallin’ in love again.
Quante ne inventiamo per andare lontano.

Ché la vita non é una fica, né nemmeno una maglia firmata.
E' piangere di fronte all'illusione di fottere la solitudine. E' una canzone dei death cab. E' un telefilm cazzone americano. E’ l’illusione di pensare che 33 minuti e 06 siano qualcosa, che quanti ti hanno amato, ma io restero chi ti ha amato davvero.
É fumare una sigaretta alle 4 con la gola in fiamme che te ne chiede di piú.
É guardade quel coglio' in faccia e dire, ma va curcati.
É 4 lingue parlate.

E' ma cazzo quella sera avrei dovuto portarti sola, a casa.

É essere superiore a uno che, che bello, ti porta in giro con la macchina, é piú che il materialismo e lo svuotamento calcolati, é vaffanculo ma che me ne fotte di perdere punti, é due note su una scala, é l’arancio di oggi pomeriggio, e io non vado via solo per quell’arancio.
Solo perché ho visto il colore arancio a Lisbona.
E nessuno saprà mai cos’é, mesmo os lisboetas também, que nao percebem o que fortuna tem.

La vita é una speranza, o una presunzione continua.

La vita l'hai capita, e l'hai lasciata.
Chi poteva capirlo, dai.
Poveracci.

Ciao, Ciccio.

lunedì, ottobre 02, 2006

Quando non c'era il Pro(e)voluscion


Basta poco per ricordare.

Anche solo una versione beta.

domenica, ottobre 01, 2006

"What's a Wonderwall?"


221
00:18:23,980 --> 00:18:28,678
Oh, si', adoro questa canzone, e' stata la canzone al nostro ballo.

222
00:18:29,507 --> 00:18:33,003
La mia fu "Starway to Heaven". Dio!

223
00:18:33,138 --> 00:18:36,212
Questo mi fa sentire cosi' vecchio.

224
00:18:45,062 --> 00:18:47,659
Dio, come mi mancano quei tempi.

(...)

231
00:19:26,695 --> 00:19:29,718
Cos'è un "wonderwall"?

232
00:19:30,234 --> 00:19:34,949
E'... Qualcuno su cui puoi sempre contare.
Non importa cio' di cui hai bisogno, lui e' li' per te.

Chi si é preso la briga di leggere i commenti in calce al post precedente, capirà come mi sono sentito di fronte a questo dialogo, puntata numero tre, serie 4.
Nip/Tuck.
Oasis.
Sean e Monica in piena tensione erotica, e parte Wonderwall.
"La canzone al nostro ballo."

Credo di aver parlato pochissimo, forse mai, della mia passione oasisiana.
Nacque così, in modo estemporaneo, con l'ascolto ormai remotissimo di Definitely Maybe, quand'ero alle prese con grane da liceale e primi esercizi su uno strumento.
La mia condizione non mi impedì di urlare subito al miracolo, quel periodo, 1993-1996, decorato da Mellon Collie, da Smash, da Superunknown e per l'appunto dagli Oasis e da Wonderwall, materpiece di quello strordinario capolavoro destinato a rimanere senza tempo (e mi si scusi la contraddizione tra localizzazione temporale e astrazione cronologica) che è e resterà Morning Glory.
Mai indossata una maglia coi colori inglesi, mai sentito un britpop-kid.
Stavo più sul dark, io.
Gli Oasis erano qualcosa di privato, una cassettina in uno stereo usurato da interminabili pomeriggi primavera-autunnali rosa rosae e Geoffrey Caucher, poi più avanti Ballantines e subito dopo scuola guida.
O il Manchester City.

Ma non vi tedierò con la settecentoquarantesima riesumazione del mio privato adolescenziale.
La cosa che ho sentito, abbinando la quarta serie del familiare N/T ai familiari Gallagher, come ho scritto da altre parti, è stata un po' come se la tua compagna da tre anni, che ancora ami alla follia, ti stupisse come la prima volta. E d'improvviso t'accorgi che la ami ancora di più.
Una qualcosa di familiare, appunto, di conferme interiori che non avevi richiesto ma che in fondo ti fanno sentire meglio.
Sensazioni poco usuali, mi si permetta, e non credo che questo sia dovuto alla mia particolare forma mentis, questa condizione di fascinazione si crea credo in tutti.
E' un po' come tepore dell'anima, calore profondo, un grammo in meno di solitudine assoluta. D'improvviso, a tradimento, un fotogramma di un telefilm che pretende, a tratti, di essere senz'anima (facendo l'occhiolino però a spinte interiori non da poco) ti fa commuovere.
E quella chiave di lettura di Wonderwall.
Quanto sarà stato che non pensavo al senso di questa canzone?

Perché quando impari a suonare un pezzo, perdi gradualmente la carica emotiva che inizialmente ti conquistava, ti spingeva a divorarne parole, significati, note e passaggi.
Come l'a solo di Ballata o il giro di Jumpin' someone else's Train, diventi meccanico, robotico, ripeti due gesti con le dita, e dimentichi cosa ti stiano dicendo, cosa tu stesso dici, in quella breve sequenza.
Fino a dimenticare anche come si suona.
Ma poi ritorna così, d'improvviso, e ricordi tutte quelle impressioni che ti fece da bambino, quelle cose che sembravano infinitesimali, quotidiane, insignificanti, e che in fondo era la tua vita e nemmeno te ne accorgevi.
Come ricordare un amore perduto.
Quando le letterine diventano insopportabili le metti da parte. Rabbia, dolore, fastidio, senso di vuoto.
Dopo tanto, dopo l'oblio (ma cosa sarà mai quest'oblio? Ché io non l'ho mai visto in nulla), resta un sorriso, nemmeno amaro, e nemmeno indifferente, e nemmeno di rimpianto, e nemmeno velato del patetismo di cui sotto: resta un sorriso di ricordo, e la lacrima che vi dicevo.

E'... Qualcuno su cui
puoi sempre contare.
Non importa cio' di cui hai
bisogno, lui e' li' per te.


Sono i ricordi, sono un muro dei desideri, che nonostante quel video in bianco e nero, io vedevo dipinto di rosa, verde e bianco:
Era la mia adolescenza, era una vita da vivere.

Quante lacrime, per un fotogramma.