As câmaras da memória

Diario di un(o che continua a confermarsi un) antieroe
Vortici di pensieri disordinati: un italiano che ha anche vissuto a Lisbona, ma non per fare l'er*smus
"La vita per te é solo un pretesto per scrivere a ruota libera" (simon tanner aka humpty dumpty)
"Io lavoro, eri tu quello che faceva cazzate!" (Franca)

domenica, settembre 28, 2008

Ogni cosa col suo nome


I Jesus and Mary Chain hanno scelto per questo capolavoro epico il nome che piu’ straordinariamente spiega la storia della loro musica e la storia nella mia vita della loro musica.

Se questa chiarezza fosse un dono comune, non starei qui a crucciarmi di fronte allo schermo vuoto di un laptop (I’ve never thought I’d say those words - cit.) per spiegarmi cosa manchi alla serie di concerti che infilerò nel prossimo mese: dEUS, Sigur Ros, Lemonheads, Lightining Bolt, Nouvelle Vague e Mercury Rev (ma nemmeno se me lo fossi sognato, tre anni fa), tenendo fuori i Cansei de Ser Sexy perché il 27 ottobre (omissis), I Ladytron perché al Lux e i Thievery Corporation perché accavallati ai dEUS, e al bivio ho scelto Barman al primo nanosecondo di dubbio, potrebbero infilarsi i Porcupine Tree (nientepopodimento) ma essendo che si tratta di andare ad Almada durante la settimana, si traballa; cosa manchi a poco meno di 30 gradi il 28 settembre; cosa manchi ai film che ho visto e vedró in questi giorni (maratona Orson Welles oggi pomeriggio); cosa manchi allo Sporting per perdere partite come quella di ieri sera.

È che io avevo sempre sognato di raccontare le cose, di dipingere la realtà dandole armonia, romantico decadentismo, sforzi giganteschi in gesti dettati da sentimenti puri, i soli degni di essere definiti umani, anche mentendo se fosse stato necessario, per dare il coinvolgimento della Nadais, o di Nuno Ribeiro, quando parla di calcio.
Per spiegare, per esempio, perché la marmellata ha un cuore piu’ grande di quello della cioccolata.

Cos’è allora, che m’è successo, dove ho smarrito la voglia, la forza, soprattutto il coraggio di raccontare le cose? Di decorare quel che sento e quel che vedo? La chiarezza evidente, pepata, intrigante, eloquente di somme frasi incidenti? Ho smarrito troppe lezioni di quella scienza, della quale nessuno, colpevolmente, si cruccia, che studia la spiegazione dei concetti.

Non vorrei subirne troppo le conseguenze, lo so che vivendo in Portogallo uno smette di cercare logicità o causa-effetto negli eventi, ma mi sono interrogato a lungo per esempio, ieri sera, su cosa potessero dirsi una coppia di innamorati che sedevano due tavoli dopo il mio, in un locale buio e bolscevico, e che scorgevo tra le fessure che gli astanti del lato creavano naturalmente discutendo tra di loro: si baciavano, si schiaffeggiavano, si ribaciavano, lei cercava di baciarlo, lui la schivava, poi lo schivava lei e poi si ribaciavano. Continuando a parlarsi. Complicato, discutibile, intricato, tanto da avere molto fascino, ma se fino a qualche tempo fa i dialoghi di loro due sarebbero stati chiaramente uditi dalla mia fantasia, oggi la cosa mi risulta abbastanza difficile.

Come mi diventa difficile, che ne so, individuare la conversazione che un signore anziano intratteneva col barbiere in una delle vie storiche di Lisbona: dalle vetrine ingiallite, le decorazioni in smalto rame dei loro infissi, l’architettura in legno austero ma confortevole anni ’70 dell’interno, nel quale campeggiava un enorme ventilatore a muro e delle poltrone fisse imbottite di colore marrone scuro, notavo, seduto dalla panchina del marciapiede di fronte, una certa ironia del cliente. Non mi sarebbe riuscito difficile immaginare un’apologia salazarista quasi boriosa del signore anziano, mentre il barbiere, emigrato dal nord povero, dalla provincia di Bragança, magari, faceva uno sforzo indecoroso a contenere le malignità che la sua bocca voleva far esplodere, lui che nella vita ha sempre votato comunista, e che quando sentiva degli scioperi del ’68 si domandava quando mai sarebbe finito quell’incubo, e quando mai sarebbe stata la vita nella sua disgraziata Lusitania. Amava una ragazzina che si chiamava Ana Rita, in quel periodo, se li ricorda bene i suoi capelli rossi quando lui ancora era il garzone di Zé Felipe in Rua do Almada e lei saliva e scendeva due volte al giorno fino alla Calçada do Combro.
L’anziano cliente invece pensava che suo padre aveva appena comprato la tenuta di Evora, a quei tempi, e ai fine settimana passati a fare passeggiate per i campi di grano con la nipote dell’ambasciatore del Canada, mentre adesso, senza quel maledetto bastone, nemmeno riuscirebbe a raggiungere l'antro fuori dal tempo di questo torvo barbiere.

Avessi la chiarezza della fantasia, non starei qui ad interrogarmi, a chiedermi cosa mai debba pensare, cosa mai debba mancare, cosa mai inventare per rifugiarmi ancora.
Sará la lingua diversa, sarà un po’ di intangibilità endemica che si rafforza nel confronto con un mondo differente.
Pero’ mi sento sempre piu’ lontano, da cio’ che avrei voluto essere.

Saramago ci ha insegnato che la vita è un’eterna supercazzola.
Scrivetelo sulla mia tomba.

Coming in from the cold

Se n’è andato anche Paul Newman, a mettere n’altra tacca su un duemilaotto pieno di tristi dipartite, anche per questo sono andato a tagliare i capelli, dopo tempi immemorabili, forse anche perché come ogni inverno spero che questo cambi qualcosa, che sia diverso.
E invece sarà sempre la stessa storia. Corse impossibili, qualche concerto, molto lavoro, voglia di rimanermene in silenzio a fissare le pareti. Per mesi.

A riordinare pensieri.

How can you call this fair?

martedì, settembre 23, 2008

Ah, fossi un decoratore d'interni... #6, ovvero previsioni del tempo

Notavo come una volta era la chiesa ad occuparsi (Galileo docet) della gestione del ciclopico e duro compito di ostacolo o indirizzamento dello sviluppo scientifico-tecnologico, mentre ora sono le multinazionali che lo esercitano a tutta potenza.

Lasciamo perdere le farmaceutiche, per le quali tra l’altro mi trovo a lavorare e non mi va di rimanere a spasso, mi riferisco principalmente al caso del perché i telefonini, al contrario di praticamente tutto, visto l’inarrestabile velocità del progresso col quale vanno avanti, non abbiamo ancora sviluppato un sistema attraverso il quale poter usare piu’ schede-piu’ numeri usando lo stesso cellulare.

Si noti, dovrebbe essere un diritto acquisito: in tempi di socialdemocrazia, la compianta SIP, monopolista, ti permetteva di installare pure cento linee telefoniche a casa. Ora le varie compagnie, attraverso accordi nemmeno troppo taciti, arrivano addirittura ad obbligarti a dover utilizzare un solo operatore nel telefono che compri.

In Portogallo è cosí, per esempio. Eppure è un’operazione che non dovrebbe essere così difficile da implementare; ci han messo pc interi nei telefoni (di sicuro piu’ veloci del mio, dev’esserci sotto qualcosa anche in questo…), deve essere così difficile ridurre a dimensioni microscopiche quello che dieci anni fa qualcuno esibiva, quel blocco enorme che si applicava dietro il telefono, che ti permetteva di cambiare operatore accendendo e spegnendo il cellulare? Deve essere così impossibile convivere con due schede ?

Ve lo dico io senza essere Beppe Grillo e quindi senza mai essere riuscito ad accedere sotto mentite spoglie ai segreti piu’ profondi della mente di Nostro Signore (che bello l’Italia, Giannini-Pannella-Grillo, l’erosione della nostra vita è nell’Antipolitica che va a cronometro, diceva il professore di Scienza Politica che appuntó sul mio libretto un 28 ai limiti dello scandaloso), certo che non lo è!

Non viene fatto perché conviene marciarci sopra, gestire due conti con le compagnie telefoniche.

Eh, ma il tempo della doppia scheda verrà. Come è venuto il tempo per la Chiesa di comandare il mondo, le idee di Galileo questo mondo lo hanno cambiato, quando hanno avuto il loro tempo.

È il momento delle compagnie multinazionali, come è stato il tempo delle imprese familiari.

Persino Grillo e Pannella hanno avuto il loro tempo nel cuore di molti. È venuto il tempo di Fellini, quello di Antonioni, verrà il tempo di Sorrentino se è venuto quello di Risi (figlio) e pure quello dei Muccino. Il liberismo avrà ancora sin troppo tempo, ma nemmeno i nostri simpatici zii medioevali ci speravano tanto che il latifondo avesse mai fine ed invece eccoci qua, verrà il tempo per un papa donna e per un presidente Usa nero.
Tutti hanno molto tempo, hanno diritto ad averne, sopratutto se sono spinti da convincimenti forti, o da sentimenti profondi e saldi.

Io spero che il mio tempo debba ancora venire. Se il mio ragionamento valesse qualcosa, verrà un tempo per i Vancouver, verrà un tempo per la giustizia; verrá il tempo in cui la mia Patria sarà libera di nuovo e verrà il tempo per non avere piu’ paura di prendere un aereo; verrà il tempo di McCain e pure quello di Obama; verranno i giorni del dreampop come son venuti quelli dell’hip-hop; come è venuto il tempo per l’agosto essere ottobre e ottobre essere luglio; verrà un tempo per i portoghesi di vincere qualcosa a pallone, se è venuto anche per la Grecia; azzardo che verrà il tempo anche per questa disgraziata nazione.
Persino il Portogallo vivrà i suoi giorni.

Questa volta non sarò così pessimista da dire che io non merito di avere tempo. Il problema è che se, per caso, il mio tempo dovesse essere già venuto, dev’essere passato, ed io non me ne devo essere accorto.
E se fosse così, davvero non so perché debba valere la pena sorridere ancora.


Edit: chiedo scusa a Risi, che non è che non mi piaccia, non mi entusiasma sempre, mentre invece i Muccino sono davvero il fondo del barile, il punto di non ritorno. Forse peggio dei Vanzina: almeno loro lo sanno di essere due cazzoni.

martedì, settembre 16, 2008

Richard Wright


Che la terra ti sia lieve, Richard.
La Storia della musica perde un altro pezzo insostituibile.

sabato, settembre 13, 2008

Be the first

Ritornano, i Kyrie.
La promessa del dark all'italiana.

sabato, settembre 06, 2008

A bocca aperta

Mai decisione fu piu' azzeccata del prendere le ferie a settembre: estate piu' fresca, mare incantevole, confusione pari a zero. Superfluo dire che mi trovo in Calabria, visto che la scelta dell'emigrazione ti costringe a dimenticare viaggi e mete inedite; Lisboa - Taurianova - Lisboa, e tanti saluti al sogno tedesco.
Tra l'altro, per chi viene apostrofato senza troppi complimenti vecchietto da ragazzini che giocano a pallone per strada, direi che la decisione si rivela piu' che adatta.

Tralascio per sfinimento le critiche sperticate all'italietta che ancora una volta devo sorbirmi (l'italietta, mica le critiche), tanto, la decisione di tornare da queste parti il piu' tardi possibile sembra perfettamente applicabile, e auspicabile, e la mia marcia indietro personale si rafforza in una passione sempre piu' forte per la DDR.



Un desiderio fortissimo di possedere una Trabant mi sconvolge di continuo, passo giorni e notti a bramare su questo sito e se vincessi la lotteria distribuirei internazionalmente il documentario che questo simpatico signore ha realizzato. Anche perché se a Venezia passa per l'80% cinema italiano, non vedo come un inglese fissato con la DDR non debba finire a reti unificate in tutto il globo terracqueo.

I Death Cab For Cutie hanno vinto l'MTV music awards con il video di I Will Possess Your Heart.
Personalmente, non ci vedo nulla di straordinario nel corto, anzi, preferisco l'ultimo di cremonini, giuro; i primi due album major a me sono piaciuti, e, per quanto mi riguarda, come ho già avuto modo di far notare, Narrow Stairs è sottotono, ma di certo non ammiccante al music business.
Non nascondo pero' che la notizia mi preoccupa; e non ho proprio voglia di scendere dal carro di Benjamin Gibbard, per quanto il tanfo del danaro cominci a risultare leggermente fastidioso.

Di straordinario, ed in tempi nei quali la sola voce di Vincenzo Mollica mi provoca un'orticaria irresistibile sono obbligato ad aggiungere un altro aggettivo, ho ascoltato senza dubbio alcuno il nuovo album dei Klimt 1918, Just in case we’ll never meet again - Soundtrack For The Cassette Generation (e solo per il sottotitolo...), gente che si definisce post death metal, che quindi non dovrebbe avere nulla a che fare con me, ma che mischiando appunto il metal con arie Cure e Joy Division (dopo Undressed Momento c'è chi ha scomodato in modo del tutto sconveniente gli U2) hanno un'originalità che definire sublime sarebbe poco.
Meno oscuro dei lavori precedenti, piu' pop forse, certo maturo, decadente, epico e maestoso.
Da primi cinque dell'anno, questo musicalmente indimenticabile 2008.

Fecho em português, mais por mim que para os meus esporádicos leitores, para relembrar-me que Portugal acolheu-me como um filho e que nunca mais vou troca-lo com alguma outra coisa na vida, mas a minha terra sempre ficará mais bonita...
Em qualquer maneira, sempre escolherei tugalandia porque compensa com o facto que quando lá estou não estou mais obrigado a aturar os gajos da minha malta histórica, que tornam-se sempre piores.
Porra, em vez de ir para a frente aqui anda-se a tentar retroceder sempre mais; casamentos chungas - com noivas que nunca conheci a queixar-se de pessoal que coheço há 20 anos ou de prendas de 40€ - pouco, que vergonha, conversas que nem em cascais (olha o vosso amigo é boiola; não faz mal, está cheio de pasta - história verdadeira), guerras para saber quem é que falhou o primeiro quando o que vale seria esquecer, e ainda pior o delirio dos 16 anos sempre mais poderoso.
Além do marido da minha ex que disse que não vai pedir um emprestimo ao banco para comprar uma casa porque os bancos acabam para ir em falência - história real, toda a gente, mesmo toda, imprime discos como se fosse beber um copo de agua.
Qual talento? Qual amor? Qual dedicação?
Toda a gente toca, toda a gente é artista. Que gasto, caraça.
Pelos ouvidos, pela essência da musica, sobretudo pela minha paciência.
E ainda querem que eu julgue!

Queridos portugueses, quando eu voltar não quero ouvir discursos de atraso.
Como já fartei-me de dizer, falta o confronto.
Como já disse há pouco, a mim falta a paciência.
Lisboa, estou de volta, e é já, pelo menos com o pensamento.
Esperando que alguem para aqui fique comido para um grande buraco preto...

giovedì, settembre 04, 2008

La Restaurazione

Una cosa che mi ha sconvolto, e seriamente preoccupato, in questi giorni di Italia, è che alla radio è un tripudio di rifacimenti di vecchi pezzi della musica tricolore tardo '70 - alba dei '90.
Tutto in versioni piu' lente o velocizzate, rivisitazioni hip hop o technotruzze. Forse perché gli stessi discografici o chi per essi hanno vergogna della bassezza irrimediabile nella quale versano, e, in un impeto di generosità nei confronti degli ascoltatori, non vogliono (o forse, piu' semplicemente, non possono) toccare punti piu' bassi. E oltre a Cremonini, che per me vale tantissimo e non scherzo, non ho ascoltato nulla di italianamente interessante durante questa estate. Nemmeno i pezzi che durano una stagione e poi li si dimentica, li si lega a ricordi d'amori estivi o di vacanze spensierate.
Ma passino i rifacimenti di Patty Pravo, di Battiato, o di quell'altra che quando mi ricordo faccio edit. È un sintomo preoccupante di decadenza che genitori e figli abbiano le stesse colonne sonore degli anni giovanili.
Ma questo pezzo era perfetto, e non dovevano toccarmelo, nella sua idealità pop, nella sua genialità visionaria, nella sua eternità immutabilmente meravigliosa.

Estate 1969, ragazzini.

martedì, settembre 02, 2008

Neanche piu' il senso del ridicolo