As câmaras da memória

Diario di un(o che continua a confermarsi un) antieroe
Vortici di pensieri disordinati: un italiano che ha anche vissuto a Lisbona, ma non per fare l'er*smus
"La vita per te é solo un pretesto per scrivere a ruota libera" (simon tanner aka humpty dumpty)
"Io lavoro, eri tu quello che faceva cazzate!" (Franca)

giovedì, luglio 27, 2006

Tiepidamente campioni d'Italia


Non si diventa interisti per caso, e nel caso lo si diventi, questa condizione è destinata ad influenzare pesantemente il corso degli eventi della propria vita.

Questo post forse andava scritto con passione, stravolgimento, ebbrezza, tumulto. Non potrà, di necessità, esserlo, perché siamo campioni d'Italia a tavolino, sulle macerie di un calcio violentato e violato che continua vergognosamente (con sentenze che premiano spudoratamente il Milan) a navigare su chili di letame.
Noi siamo su tutta questa merda col vestito della prima comunione immacolato, come abbiamo sempre sospettato, quando nel 1998 ci derubavano in diretta mondiale, quando gli juventini vincevano le partite con due punizioni inventate, o quando gli altri vincevano al 97° col rigore calato dal cielo e noi facevamo 1-2 con l'Atalanta in casa.
Lasciamo perdere Pobozzo pagato da don luciano, quella fu la vergogna più scellerata della storia del calcio.

Si è interisti per appartenenza familiare, e non è il mio caso.
La cosa importante, a casa mia, è l'antijuventinismo, e statene certi, questo è in me talmente ben radicato che la vergognosa sentenza rossonera non m'importa più di tanto. Mi basta vedere la juve in B.
Io sono diventato interista chissà perché. Quei due colori insieme non stanno benissimo, eppure sono pieni di fascino, avevo sì molti parenti nerazzuri, sopratutto uno zio lontano che senza praticamente lottare mi condusse a questa passione. Fu una scelta.
Qualcuno, tutti, hanno detto sempre infelice.
Ma questi tutti, cosa volete che ne sappiano della sofferenza?

Noi abbiamo visto soprusi incredibili, eppure abbiamo sempre taciuto. Abbiamo perso campionati praticamente in casa e abbiamo taciuto. Abbiamo subito sfottò pesantissimi, e abbiamo taciuto.
E nella vita concreta, svestiti i panni del tifoso, le sconfitte personali e le disfatte interiori assumevano i contorni del deontologico: così dev'essere, sempre, per noi. Nati sconfitti, nati perdenti, eppure così orgogliosi da uscire di casa il 5 maggio, da seguire una squadra l'anno dopo Orrico, dopo Lippi, dopo Suarez, dopo Tardelli...
Dopo. Dopo ogni stagione.
Dopo ogni umiliazione, dopo ogni volta che Recoba sbagliava il tiro inutile da centrocampo, dopo Simic, Gilberto, Bergkamp e Roberto Carlos al Real per capriccio di Roy Hodgson, dopo che ci aveva abbandonato pure quel dentone gordo del cazzo che ci entusiasmava, che dava orgoglio, che ci faceva sorridere almeno un po' nella nostra sventura.
Forse non era pronto nemmeno lui ad essere nerazzurro, forse non ha mai provato l'emozione a soli 10 anni di pensare 'siamo campioni d'Italia' senza nemmeno esserlo e sentire lo stesso una fitta al cuore fortissima e sorridere in modo irreale.
Non sapeva di poesia, non sapeva di favole col lupo che si mangia cappuccetto rosso e cenerentola ai lavori forzati per sempre.

Noi siamo sempre andati avanti, noi pensavamo ci fossero soprusi e ci dicevano 'di calcio non capite niente'. A ripensare adesso, guarda quanti imbecilli. Imbecilli, chissà quante volte lo scudetto lo abbiamo vinto sul campo e con la vostra arroganza ce l'avete tirato via, avete cercato di ucciderci l'anima, come Moggi che con quella faccia di culo sostiene, ma non ci siete riusciti, mai.
Perchè il nostro orgoglio ci faceva rinascere sempre, perché c'è poesia nel perdere sempre e poi svegliarsi un giorno, anzi, una mezza sera di luglio in modo improvviso, e vedersi cucito uno scudetto sul petto.
Non ci sono caroselli che festeggiano questa vittoria, non ci sono videocassette (di coppe uefa prese in diretta, ricordi?) celebrative.
Ci sono solo i nostri occhi, pieni di gioia e di orgoglio, quando oggi continuate a dire 'tanto il prossimo anno non lo vincete'.
E chi se ne frega.

Non avete ancora capito che essere interisti non è vincere, come essere del Milan o della Giuve, o provincialisticamente di Lazio e Roma, un vincere più circoscritto ad un insano derby. E' troppo facile e triste.
Amare non è vincere.
Noi siamo un popolo a parte. Siamo sognatori, poeti, vittime designate e giammai carnefici.
Sembra facile dirsi onesti, più retorico pure delle parole che finora ho scritto, ma così vero.
Perché l'onestà non è solo nel fatto che il nostro angelico benefattore petroliere, l'imprenditore di sinistra che regala soldi a tutti, non ha mai corrotto un arbitro per costume personale e morale, alzandolo a uomo di virtù supremissima, ma anche quando scornati ammettevamo di aver perso, senza appellarci a trucchi e trucchetti.
Non abbiamo mai avuto ammonizioni calcolate a favore, rigori che risolvono, gol annullati. Ma ammettevamo lo stesso, col distacco interiore che questa squadra ci ha insegnato ad avere.
Guardando le cadute verticali di Simic, le rinascite altrove di Pirlo e Seedorf (Milan lab mica ce l'abbiamo noi?) i muscoli gonfiati di Vialli e delpiero. E noi in silenzio. A subire, a soffrire.
Solo i pazzi, ci dicevano, possono essere nerazzurri.

Non siamo pazzi, siamo corretti, puliti, sinceri, innamorati e irrazionali.
E non ci siamo mai vergognati di parlare di calcio, come fa qualcuno adesso, che deve turarsi il naso per non sentire la puzza di merda che ha addosso.
Siamo lindamente immacolati campioni d'Italia.
Tiepida gioia, coscienti che domani sarà di nuovo tutto come prima.
E saremo ancora più innamorati.
E saremo ancora più interisti.

Sanbicc

Iamu, Eurijkaard, cerca ma smetti.
Zoccula (cit.).

lunedì, luglio 24, 2006

*****

Mi sono innamorato di te, *****, e non so nemmeno come.
Mi sono innamorato di te, *****, e non trovo le parole per dirtelo, nè ragioni per esserlo.
Mi sono innamorato di te, *****,e non so se della tua voce, che alterata sentii, o del tuo sguardo, che forzatamente ammirai, o del tuo abbigliarti, che conseguentemente analizzai, o dell'impossibilità di tutto ciò.
Mi sono innamorato di te, *****,perché forse non avevo nulla da fare, nulla per cui impegnare la mia statica mente.
Mi sono innamorato di te, *****, e le parole che volevo dirti già le ho messe da parte.
Mi sono innamorato di te, *****, e come al solito non so se è impossibile o fin troppo facile, o fin troppo evidente che è per dire qualcosa.
Mi sono innamorato di te, *****, perché aspettavo Soverato o altre amenità inattese e so che non ci sarà nulla.
Mi sono innamorato di te, *****, forse perché mi manca l'irraggiungibile che non so se sei, perché voglio che la casualità abbia un senso, perchè, *****, hai un nome così anonimo che potresti essere.
Potresti, e non sarai, come sempre.
Mi sono innamorato di te, *****, perché tradirai i miei sogni e le mie eterne attese, come sempre, perché violerai le mie innocenti titubanze col tuo ardore impetuoso dei vent'anni.

Mi sono innamorato di te, *****, perchè ho paura di dire che come al solito mi sono solo innamorato di me stesso.
Ma ho così paura di non essere capace di amare me stesso che probabilmente non sarò mai capace di amarti.
Di amarmi.

La reminiscenza

Le commesse della TMN a Viseu.
Tanto, almeno loro di questo blog non sapranno mai nulla.

venerdì, luglio 21, 2006

Ridicoli


Se tutto ciò fosse soltanto vergognoso, la mia indignazione sarebbe tale da farmi sprecare fiumi di parole per giorni e giorni.
Per fortuna qui si sta solo rasentando il ridicolo.

Mi chiedo se mai i notabili Fifa abbiano frequentato un campo da calcio. Dico io, perfino tra amici al calcetto il venerdì ce ne diciamo di tutti i colori.
E le parole portano a reazioni analogamente verbali, non ad aggressioni fisiche.
Peggio delle bestie.

Zizou, stradifeso da orde di imbecilli, mi pare che quest'ultimo colpo di coda possa quantificare la tua personalità in modo inequivocabile.
E la tua stessa nazione sarà adesso soddisfatta?
Spero bene di sì, visto che la coppetta l'abbiamo noi, e i campioni del mondo sono azzurri.
Bisognerebbe saper perdere, e noi dovremmo essere meno italiani, stavolta.
Guarda un po' che macello hanno orchestrato gli sconfitti cugini: noi, sempre pronti a criticare, il povero Ciccio lo avevamo crocifisso, al tempo del lama portoghese.
E adesso nemmeno un briciolo di indignazione?
Questa sentenza farà precedente?

Uno dovrebbe trovare il coraggio di dire addio a questo pseudo-sport.

mercoledì, luglio 19, 2006

Il più triste dei wedding days


Luigi, non attraverso il suo blog, mi segnala una delle peggiori notizie di quest'anno.
Ché la niusletta secondo me si vergognava a dirlo.

Perchè, Avril?
Ma tra tutti, tutti gli uomini di questo mondo, perché proprio lui?
Si diceva da tanto che ci fosse del tenero, avete fatto tournée insieme (anche se fortunatamente ancora nessuna collaborazione).

Ma, Avril, avrei preferito fosse il tuo chitarrista-bambino kinder.
O un attorucolo di terza fascia.
O un sesto uomo NBA.
O, viste le tue canadesi origini, un picchiatore mascherato d'hockey.
Non pretendevo Ben Gibbard...

A questo punto propinaci pure un pessimo cd insieme, se proprio vuoi.
Ma ti prego, non consegnarci eredi figli di somma quarantuno.
Il dolore allora sì che diverrebbe insopportabile.

sabato, luglio 15, 2006

E se fosse vero?

Se fosse vero vedervi in B, con trenta punti di penalizzazione.
Se fosse vero, che vi levano tutti gli scudetti.
Se fosse vero, che la nostra sofferenza fosse figlia d'un inganno.
Se fosse vero, imbecilli che ora vi nascondete, e che siete stati a Bari due mesi fa.

Se fosse vero, sono solo cazzi vostri.
E la mia testa non è alta, no.
Fosse vero, per guardare l'Everest dovrò chinarmi.

venerdì, luglio 14, 2006

A mozzarella


Focu che bella a mozzarella a st'ura.
Pecchì è u latticinu.

Io no sacciu se nui fummu aiutati, quandu 'ndi 'mbizzammu u portoghesi, da cosa ca i verbi e i nomi (a declinazioni, dicu), sunnu i stessi.
(dici, i undi ti veni? Du focu, intercalatu comu u soi foda-se, chi quandu no bbonnu u dinnu parolacci dinnu 'fogo').
Però, corpu di meu, l'abbusu di u e chidu 'vegnu' e 'tegnu' sunnu i stessi.
Ma cu mi l'avia a ddiri a mmia.

Forzi è sulu nu sbiluppu da lingua i sta manera.
Manera, maneira.
Falo Portugues, parlu calabrisi.
E simu dà.

martedì, luglio 11, 2006

Addio


Addio, Genio.
Per quanto potrò mai criticarti, sono cosciente che senza di te non avrei mai ascoltato quello che ho ascoltato finora.
E quindi, se sono la persona che sono, un briciolo di questo sarà per forza solo tuo.
Non posso che sentirmi di dirti grazie.
Riposa in pace, Syd.

lunedì, luglio 10, 2006

Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo


Esagererò? No, perchè il calcio è una delle mie principali ragioni di vita, se non LA principale.

Urlarlo, adesso, è quasi incredibile. E'indescrivibile, non si hanno parole per spiegare cosa si porta dentro.
Noi, padroni del mondo, oggi, e per quattro anni ancora, sul tetto di questa terra.

Noi, noi pizzaioli, modaioli, truffaldini, genii, col patrimonio artistico più ricco del pianeta. Noi, col sole che non tramonta mai.
Noi, figli di Roma, che abbiamo dominato il mondo e adesso è di nuovo qui, ai nostri piedi.
Perchè, quanto mistero si cela dietro quella coppa tutta d'oro? Dietro le lacrime e il sangue di eroi d'ogni tempo, che a quel tricolore, e non solo, quell'idea di nazione -nazione, popolo, stirpe- han dato la vita.
Tinti di azzurro, quando quel coglione pieno di sè tirava il cucchiaio per sfotterci, e poi c'è finito nel suo brodo.
Dopo i tedeschi che ci sfottevano, dopo i boriosi brasiliani, dopo inglesi ecc. ecc.
Vendetta, alla Francia.
Tutti a casa.
Dito sulla bocca.
Silenzio, parliamo noi.

Quante ne abbiamo viste, noi.
Noi, che le nostre madri erano incinte, o ci avevano fatto nascere da poco, quando Zoff alzava la coppa.
Noi abbiamo sentito raccontare di Rossi e Tardelli, quando non di Meazza e altre amenità remote.
Noi e i rigori col Brasile. Noi agli Europei con i francesi che ci sfottono.
Noi, e il catenaccio all'estero, noi e gli scandali calcistici.
Noi, italiani del 1980, che negli occhi abbiamo scene incompiute, futuri arrivati troppo presto e troppo presi alle spalle per rendercene conto.
Noi, eternità che chiedevano di essere segnate da una gioia così, che è arrivata, e che ora stringeremo, con le lacrime agli occhi. Con i Materazzi, i Gattuso e anche i Totti e i Del Piero e i Fabiogrosso.
Noi, cresciuti su queste strade (e sì, in fondo, che dovevo farci a Roma io? Io sono nato qui, e quando vedevo occhi con cui ho diviso piazze, strade, notti ma anche occhi semi sconosciuti d'un solo sguardo malizioso o assassino scattavano abbracci incontenibili) che invadiamo invasati da gioia immensa, tinti d'azzurro, imbardati dal tricolore, ebbri di gioia irreale.

Figlio mio, avevo venticinque anni quell'estate. Non prendevo sonno alle quattro e mezza. Guardavo quella coppa che era anche mia.
Parlavo questa lingua, baciavo quella terra, avevo davanti le immagini di insuccessi riscattati e un pezzo di cielo sotto il quale amare, sorridere, piangere.

Quante, sotto questo pezzo di cielo?
Ma questa è la più grande, la più grande.
Nel momento in cui chiuderò gli occhi per l'ultima volta, lo so, il mio pensiero sarà qua. Sarà a Fabio Grosso, a quel pallone, a quelle persone che avevo vicine, a quelle più lontante, a quella piazza, a quella coppa.
Sarà l'eterno bambino.
Gli eterni bambini che siamo, generazione ottanta. Che non abbiamo mai smesso di credere alle favole, e oggi la favola l'abbiamo realizzata, davanti agli occhi.
No, non avevamo torto.

Pensiero vola, verso quel bambino, figlio di una coppia di miei coetanei, che nascerà tra poco. Come eravamo noi, in quelle pance, o nati da poco.
Raccoglierai il nostro urlo, lo terrai in te, spererai di poter perdere la voce anche tu, un giorno, come noi, adesso.
La speranza che nasce, nasce, nel giorno del Trionfo.

Trionfo.
Trionfo immenso, eterno, scritto a caratteri cubitali nella Storia, e nei nostri cuori.
Per sempre, notte d'estate, notte d'azzurro.

Spengo l'ultima sigaretta, cade qualche goccia di pioggia.
Cielo, guardami.
Siamo i Campioni del Mondo.

domenica, luglio 09, 2006

Pecchì

Pecchì sacciu.
Pecchì vitti, e sentìa.
Pecchì no 'ssu bbonu.
Pecchì io se dicu na parola è chida.
Pecchì poti fari caddu, ccà, ma se 'nto cori da genti non c'è nenti
non aiu nenti u vi dugnu.

(calabro, dello stesso valore della lingua italiana. E un'ungherese alla porta d'un pub)

Buonanotte.

sabato, luglio 08, 2006

Una favola a lieto fine


Di Wimbledon, quest'anno, onestamente, ho seguito poco, come si sarà notato, assecondando la passione calcistica, sacrificandomi al rito solenne mondiale.
Non ho seguito Martina, malmenata senza pietà, né Justine, approdata in finale dopo il 620° derby vinto contro Kim burrosa, nè la dolce Amelia, che in finale c'è arrivata pure.
Stavolta vincendo.

E sì, dolce Amelia, stavolta, finalmente, tocca a te.
Australian Open già in bacheca si obietterà, ma ricordiamoci che la vittoria venne solo dopo i due belgi ritiri in semifinale e nell'ultimo atto.
Stavolta è Amelia.
Amelia, vestita di bianco. Amelia che perde il primo set 6-2.
Amelia che non si arrende, che guarda la sua compagna in tribuna, che urla allez sovrastando Justinella, che corre a rete e spara al volo, che serve aces a tutta forza.
Che non crolla quando ha la vittoria in mano, che alla fine di questo ballo, questa volta, è incoronata regina.
Per la prima volta, davvero, Amelia.

Amelia che ripete l'ultimo servizio, e alla seconda tira la palla in aria, la riprende, la fa rimbalzare, la ritira, la mette dentro, Justine sbaglia e scorrono le lacrime, e sale come Cash fra le tribune del centrale, e sorride al mondo, e si fa fotografare, e piange, ché ha preso quel treno, il treno giusto, che l'ha portata in fondo.
Contro le paure, contro i nervosismi, contro gli isterismi.

Parole dette, giudizi avventati, critiche a fisico e anima.
Tutto alle spalle, il mondo ai tuoi piedi.
Hai vinto, Amelia, finalmente.

Fragile, indifesa, impaurita.
Mai più.

L'essere più dolce del mondo.

giovedì, luglio 06, 2006

Acabou


Acabou o sonho portugues, acabou com a cabeça bem alta em frente duma equipa que antes tinha eliminado as focas brasileiras, que tinha um Zidane que pareceva intransponivel e que o Meira e o Carvalho limitaram completamente.
Acabou, como a vez passada, com um penalti discutivel que o Ricardo quase tinha parado, com um Figo que finalmente deludeu, com um Pauleta sempre mais sozinho no meio da area, com um Deco que desapareceu na altura mais importante.
Acabou, mas Portugal pode ser orgolhuso dos emoçoes que trazeu-o esta equipa.

E vamos vindicar-vos, amigos.
Até a proxima.

mercoledì, luglio 05, 2006

L'orgoglio di essere puffi


Fabio Grosso ha guardato quel delizioso pallone che veniva dai piedi dell'alieno vestito d'azzurro alla sua destra.
Non l'ha nemmeno vista, la porta. Ha ruotato il suo piedone sinistro e ha trafitto Lehman.
In quel piedone c'era una nazione trepidante.
Una nazione che vive di contraddizioni, scandali, furberie, provincialismi, vuoti immensi, maleducazione, fighettismo. Una nazione che alle sue spalle ha però una storia di una umanità pazzesca. Siamo dei genii, siamo parassiti che vi fottiamo, cari tedeschi del cazzo, siamo pizza mafia mandolino e la voglia di non mollare mai, di inventarci il modo migliore per vivere, e ridiamo sempre e non siamo mai perduti.
Una nazione su cui splende sempre il sole, l'unica ad avere forma di un oggetto in via del tutto naturale (lo stivale l'ha disegnato Iddio, il Caso, chi lo sa) e forse proprio per questo designata ad avere un ruolo così notevole nella storia. Non siamo mai stati banali.
Siamo stereotipati, indomiti, abbiamo una lingua bellissima che riusciamo a storpiare in ogni luogo d'Italia, una bandiera coi colori della speranza e della libertà, e una maglia col colore del cielo e del mare.
Siamo italiani, caro mondo, e stasera bando all'essere tiepidi nazionalisticamente parlando, la festa immensa ed estemporanea sarà indimenticabile.
Nipote mio, quando battemmo la Germania in casa avevo venticinque anni. E papà, questa è la nostra partita del secolo.
Noi degli anni '80, troppo giovani per ricordare il Bernabeu, dalle adolescenze troppo segnate da deludenti rigori e euforia nazionale a 10 anni scemata a un millimetro dal traguardo.
Il piedone di Grosso, il pallonetto di Del Piero (e stavolta il cognome te lo scrivo correttamente, caro Alex), le invenzioni di Pirlo, la cattiveria di Gattuso, gli invalicabili Cannavaro, Materazzi, Buffon e Zambrotta, il calabrese reggino Perrotta, LucaToni non pervenuto e anche Iaquinta, Gila e lo spento Totti, persino PolNiuman the inadequate.
Pizza, mandolino, mortadella, maccheroni, mafia, colosseo, la cafonaggine.
Siamo italiani, così è, se vi pare.
E siamo in finale. A un passo da prendere quel mondo in mano e metterlo in ginocchio.
Urlavo, urlavamo tutti. Cuore in gola e una grande passione, che diventa ancora maggiore se sei stato emigrante, ché là capisci che essere italiani non è parlare una lingua e mangiare la pasta.
E' un modo d'essere. Diverso, invidiato, odiato.
Unico.

Andiamo, ragazzi.
Nessun Gargamella ci toglierà mai l'infinita dolcezza e la meravigliosa speranza
di questa notte da eroi.

domenica, luglio 02, 2006

Maior dos sonhos - Più grande dei sogni


Diser o que, agora?
Falar desta equipa, duma batalha, das minhas lacrimas ao penalti do Cristiano, do Ricardo e dos ingleses que com toda a sua arrogancia chegaram p'ra casa?
Portugal, o destino teve ai, em frente de ti: um obstaculo que pareceu intrasponivel e que agora ta jà atras, a ver esta França nesta meia final.
Como va chegar este mundial serà jà meravihloso: serà meravilhoso achar a cara do Ronaldo, ao Ricardo que foi superhomen, ao Maniche, ao Carvalho que lutaram atè a fim, quando pensava a voces, irmaes portugueses tao longe e eu em frente da televisao a chorar e a beijar a minha camisola com os cores vermelho e verde.
Nao è facil perceber o espirito dum povo so com um jogo: mas hoje foi isso. Foi a esperança grande da naçao portuguesa que hoje permitiu a este grupo de homens de ser nos primeiros quatros grandes do mundo.
Chegou a altura da desforra?
Ainda nao sei.
Mas sei perfeitamente que nunca vou esquecer este dia, e as vossas cara, que foram em frente de mim uma vez mais.
Obrigado, heroes.

Quando acabou o jogo nao consegui ligar ao telemovel: pode ser que foi um sinal do destino.
Nao precisamos de palavras. Tamos a viver um sonho: e ainda nao acabou.

L'Italia pure, è finita alle semifinali. Dopo le parole dei tedeschi, è ora di rispondere. Finalmente affrontiamo una squadra al nostro livello: vediamo di non deludere.
Zambrotta eroico, Cannavaro invalicabile, Toni in gol (cretini giornalisti dalla facile critica) e Totti superlativo.
Altro che ronalcazzo dente di fuori.
Di desforra (rivincita) forse potremo parlare noi.
E allora andiamo, italiani, a dimostrare ciò che abbiamo dentro.

Ma la cosa più importante, oggi, è stata il Brasile fuori.
Ricordo, quando la definii squadra di foche, Ronalcazzo ridicolo (e c'è gente che me lo paragona a Dio -Maradona), prima squdar seria, primi calci in culo.
Come godo.
Buffoni, caricati da tutti.
Umiliati da un sontuoso Zizou.
E' grandeur, pericolosissima.

Basso, ma cosa m'hai combinato?