As câmaras da memória

Diario di un(o che continua a confermarsi un) antieroe
Vortici di pensieri disordinati: un italiano che ha anche vissuto a Lisbona, ma non per fare l'er*smus
"La vita per te é solo un pretesto per scrivere a ruota libera" (simon tanner aka humpty dumpty)
"Io lavoro, eri tu quello che faceva cazzate!" (Franca)

lunedì, marzo 31, 2008

Mille volte il Porto campione a marzo.

sabato, marzo 29, 2008

Ah, fossi un decoratore d'interni... #2
























Me le immagino quando parte "Happy when it rains" dei J&MC...

giovedì, marzo 27, 2008

Ho detto sì, vengo dopo il tiggí.

In Portogallo è successa sta roba.



Momenti da oscar Da-me o telemóvel, caralho! (dammi il telefonino, cazzo), e sai daí gorda de merda (spostati, grassona).
E la Inêzinha che se la ride mentre picchia la prof.

Sti poveracci, sempre un popolo buono e quasi inoffensivo, refrattario alla violenza, si stanno crucciando in maniera seria di quello che accade.
Ora va beh, all’epoca mia il telefono non c’era ma comunque avremmo veramente preso schiaffi pesanti.

Il tg della SIC è un vulcano di emozioni.
Chiaramente finanziati dal CDS-PPD (la destra) viene quindi fatta una pesante critica al governo, perché si sostiene che la situazione sia figlia dell’applicazione dello statuto dello studente, introdotto dall'attuale governo socialista.
Il primo inciso è una perla della ministra: la giornalista la critica con insistenza e arguzia, con ottima recitazione di ostentazione di sdegno e chiede se forse fosse necessario abolire lo statuto; la ministra, responsabile dello statuto stesso, le risponde con un’altra domanda: “ma seguendo il suo discorso dovremmo abolire quindi anche il codice della strada... Abbiamo un codice della strada, ma gli incidenti accadono lo stesso. Lei pensa che dovremmo abolirlo?”
Sul momento la giornalista non ha inteso le dimensioni apocalittiche della stronzata, ma la prontezza, il tono, il richiamo alla similitudine con qualcosa di estremamente piu’ serio colgono impreparata l'intervistatrice.
Ora, la ministra socialista non è la Tachter.
Peró anche una serie B come lei ha dato una risposta così politica ma così politica ma così politica che io di stesse, in Italia, non ne sento da almeno dieci anni.

Ne discute dell’argomento uno psichiatra ubriaco, dalla voce chiaramente impastata, che parla di attori del setting (sí, in inglese, per darsi un tono), un giudice che si scandalizza di fronte all’opportunità dell’uso del diritto criminale.
Poi i servizi.

Situazioni simili (ragazzini che saltano da un banco all’altro presentati come “preparantesi a salti ben piu’ pericolosi”, minchia al qaeda –ce l’ho- ; gente che canta per impedire alla professoressa di parlare –ce l’ho-; gente che manda affanculo platealmente il professore –ce l’ho-; gente che minaccia la prof –questa ce l’abbiamo tutti da Roma in giu’-; gente che fuma in classe –ce l’ho; gente che si prende a calci da un banco all’altro –ce l’ho; gente che di colpo si alza e butta per terra il compagno di banco –ne ho di peggio; cazzoni che girano il filmino –mi manca, guarda un po’).

La cosa bella è che i filmini me li han mandati tutti oggi alle mail d’ufficio che ci scambiamo. Quindi dai pure la scusa per la conversazione la sera in casa.
Le dinamiche di trasmissione della deficienza televisiva sono uguali everywhere.

Il video dice che escono e diventano gang. Va beh. Ce l’ho alla grande.

Passa poi la presentazione del paradiso della scuola privata cattolica dove “le scene di violenza che abbiamo visto sono impensabili”.

Il nocciolo, si sarà capito, è che ai miei tempi queste cose succedevano lo stesso.
E quindi secondo voi vi siete salvati dalla menata sui miei 16 anni andati per sempre?
Illusi.
Noi non avevamo i telefonini, ed eravamo piu’ problematici –e piu’ impegnati filosoficamente.
Se queste cose succedevano, non diventavano un caso nazionale (il bullismo, in Italia, un conio dato a un qualcosa che esiste da sempre) e non siamo cresciuti tutti criminali.
Anzi, mi pare che tra noi e gli ultracattolici educati in chiesa la differenza sia visibile ed enorme.
Eppure in molte cose siam cresciuti male; perché eravamo viziati e pieni di attenzioni- e questi qui stanno peggio, ad attenzioni.
Peró eravamo felici lo stesso.

Come i nostri genitori, che saranno cresciuti in un ambiente che era gli albori dell’oggi. Con i semi di quel che accade.
Ma si parlava, a Pasqua, con coetanei compatrioti, di quanto –almeno in Italia- i nostri genitori siano stati (per quanto dicano di no) molto piu’ fortunati di noi.
Avevano già la televisione, hanno avuto i loro giocattoli, non hanno mai avuto grossi problemi economici (pensate un secondo ai genitori d’oggi) si sposavano e con uno stipendio – che era per la vita - si campava bene. Quasi tutti han comprato una casa.
Noi abbiamo il pc, okay, io sono emigrato grazie al nuovo mondo senza frontiere, okay, ho avuto moltissimi giocattoli (c’era chi ne aveva meno ma in tal caso mi sembravano piu’ belli –specchio del fatto che mi rendevo inconsciamente conto che ben pochi stavano molto male), ma il mio posto di lavoro, per quanto fisso, è appeso (e non per causa mia) ai destini della globalizzazione, quindi semiprecario anch’io, sposarmi con quali soldi, avere figli con quali soldi, comprare una casa un sogno irrealizzabile.

Siamo una generazione piu’ rincoglionita, infatti, di quella che ha fatto il sessantotto, ma se i nostri fratelloni bambini negli anni ’70 hanno impedito alle passioni ideologiche di tornare alla ribalta, castrandole, noi bambini poi cresciti nel duemila abbiam votato Berluscojoni (mi dicono che per questa parola potrebbero chiudermi il blog). Senza ricambi, senza ritorni a rivoluzioni piu' o meno armate, senza minacce di sovvertire il mondo.
E questi, vi immaginate che faranno?
Cioé, ma che devono fare?

Quindi, che racconteremo ai nostri figli?
Che in ogni caso eravamo meglio dei liceali d’adesso.

Se levantas a mão ao meu filho, levas.
Mi pare di sentirne l’eco.



Quest'uomo ormai è il mio idolo ogni giorno.

Ah, fossi un decoratore d'interni... #1

mercoledì, marzo 26, 2008

Consapevolezze

Sembra che dovró sempre pagare un prezzo per la mia felicitá.

E questo prezzo sará sempre troppo alto
per le mie spalle così fragili.

domenica, marzo 23, 2008

Constatazioni

È abbastanza soddisfacente ridersi di cosa accade.
Cambio casa, e passo da un R/C sem janelas a un appartamento al 12º piano con vista sul Tejo -cosechennemnoniuiorch-, cambio ossessioni e passo ai temi dei post, mantengo abitudini come comprare il cd della Pollock, oggi, con lo sconto.
Mi sembra giusto. Me lo sono meritato.

Le vere soddisfazioni vengono peró da un mio collega di quelli del dipartimento a lato, che ci trattano come criceti e plebei, di fronte alle loro partite da golf, alle partite a snooker sulla barca di papá, al conto preciso della cilindrata della macchina del genitore. Cose del genere, insomma, proprio belle persone.
È gente così diversa da me che poi gli scovi
il blog fighetto ultraconservatore e trovi Cat Stevens ad aprire i giochi e una tale critica ai Cure i cui punti forti sono 1) sono una banda di ragazzetti che hanno fatto di tutto per diventare gente di culto 2) RS un tizio che cantava cio' che gli andava male e delle delusioni adolescenziali 3) gente che è entrata a culo negli anni ’80, oltre a tipi che suonano musica strana e un gruppo mezzo pazzo.

Ecco, uno che si permette di sparare queste stronzate (alle quali aggiungiamo soprattutto la perla dell’aver scritto che della lineup iniziale rimane solo RS) tenendo Cat Stevens in sottofondo non merita di tenere un blog autodefinentesi musicale.

Ebbene, ignorare queste cazzate e non sentirne un moto di ribellione nei confronti mi rende cosciente del valore chi gli dó come persona. Del rispetto che ho per le sue opinioni.
Oggi ho avuto un'altra conferma alla certezza assoluta che non saró mai come lui.
Alleluja, alleluia.

sabato, marzo 22, 2008

Un padre mancato e un mancato padre.

La nostra, di lingua, non scherza un cazzo, comunque.

giovedì, marzo 20, 2008

Un cofano di film stupidi

Quest'uomo è morto alla bellissima età di 90 anni, e nonostante il suo onore umano sia stato diviso tra la sua bellissima prosa e le accuse di pedofilia contestategli nel corso degli anni, si è permesso di scegliere un epitaffio immortale.

Nell'ultimo link è stata data una traduzione orrenda, ma la meno orribile che ho trovato in giro.
Letterandola dalla traduzione portoghese*, diventa un uomo che non è mai cresciuto, ma non ha mai smesso di crescere.


*Ainda não era crescido mas esteve sempre a crescer. La poetica meravigliosa di questa lingua merita di essere vissuta.

lunedì, marzo 10, 2008

Robert Smith e i percorsi di una vita


Per parlare del terzo concerto della mia vita del gruppo piu' importante della mia vita, basterebbe probabilmente fare per larghe parti un copy-paste del concerto di due anni fa a Taormina. Anche perché parlare dei Cure per me è sempre stato semplice, nel turbine di emozioni ed evocazioni che solo il nome mi porta alla mente, accompagnandomi come hanno fatto dalla preadolescenza fino all’etá adulta, e di certo il valore di un concerto a Lisboa non assume altro che il continuare ad accompagnarmi in ogni caso, ad ogni modo ed in ogni istante.

La scaletta ormai varia poco: quel poco tale da rendere necessario ogni altro concerto.
Tipo, aprire con Plainsong seguita da Prayers for Rain è un inedito per me, come inedito è stato ascoltare dal vivo per la prima volta quella che è attualmente -da due anni- la mia canzone dei Cure preferita, Disintegration, con Robert a ricordare tutto il testo. Non ci avrei scommesso.
O inserire Grinding Halt e 10:15 Saturday Night, e Wrong Number, pensando che non le varei sentite mai piu’ dalla voce del mio folletto preferito.

Anche perché, ovviamente, come sempre, non c'è nessun album nuovo.

Qualche riflessione, ovviamente triste, mi è venuta in testa. A 50 anni ballare come un cretino sul palco la credibilità ti scade ai minimi termini. L’ondulare tipico dark mentre suoni quasi vien vergogna a me di farlo, e ho meno della metà della sua età. Simon Gallupp suona da 40 anni le stesse cose e riesce a sbagliare il giro di The Walk.
Poi, chiaramente, la fauna.
Il Pavilhão Atlantico era esaurito da un mese ma la folla portoghese ha poco a che fare con la passionalità, con il fideismo maniacale del darkismo italiano. L’età media, stavolta, è altissima, nemmeno una teenager che fosse una, gli abbigliati in nero una percentuale scarsissima; dirò che mi sentivo in casa, sì, a casa mia, come dimostra il fatto che come rarissimamente accade conoscevo tutte le canzoni dei dischi che han passato prima dell’inizio del concerto, come mi sono piaciuti abbastanza –e mi son sembrati originali, d’altra parte ai Cure i concerti li aprivano i Cranes- i 65 Days of Static che hanno aperto, post un po’ troppo noise da stancare dopo 5 minuti ma con moltissime influenze Cure, ma mi sentivo comunque attorniato da estranei.
Pochi abbiam cantato Primary e Grinding Halt. M forse solo io. Non è partito il doveroso ooh-oh-oh su Play for Today.
Quando lessi la presentazione del Publico, quasi rimasi offeso dalla netta spartizione che paventarono tra fan del primo genere Cure (tra i quali mi annovero) e fan del periodo pop. Conosco molta gente fan di entrambi i periodi, e io stesso riconosco come uno dei migliori album di Smith Wish, la vera svolta easy. Ma i Cure son mancati in concerto personale (escludendo dunque i festival) dal Portogallo per 19 anni.
Insomma, il calore italico, almeno a un concerto dei Cure, questa volta cari amici portoghesi, scordatevelo.
E mentre a Taormina su The End of the World garantisco che in tanti abbiamo incrociato le braccia, qui è stato un tripudio di balli e accompagnamenti.

Mi viene in mente di colpo che Robert Smith è meno grasso.

Dal punto di vista emozionale-personale, invece, le parole saranno sempre poche e scarse per spiegare quello che ho dentro.
Se ascoltassi una canzone dei miei 15 anni, che ne so, chiuderei gli occhi e penserei al motorino in piazza con gli amici. Una di Definitely Maybe, sicuro il campo da tennis in un pomeriggio di pioggia a 16 anni. Addirittura alcune canzoni dei Litfiba, che pure mi continuano ad attraversare e che sono gli unici che amo quasi quanto i Cure, mi ricordano un momento, un periodo, una immagine.

Le canzoni dei Cure no, a parte Three Imaginary Boys -e la persona che lo sta leggendo, se ancora lo stesse leggendo, sa perfettamente che è l’unica eccezione e perché è sua e sempre rimarrà sua-, tutte si sono evolute nel corso degli anni. Hanno significato persone differenti, hanno assunto significati diversi. E continuano a cambiare, a cambiare con me.
Probabilmente potrei ricostruire la storia del divenire di alcuni miei stati d’animo e sensazioni, o percezioni delle cose da un diverso punto di vista, dal semplice ascolto di From The Edge of the Deep Green Sea.
Questo per dire ancora una volta quanto sono importanti i Cure, e per spiegare come anche stavolta le sensazioni sono state diverse e nuove, come lo sono ogni giorno e come sempre andare a guardare Robert è come avere il conforto di rivederlo ogni tanto, sapendo che c’è, che fa parte della famiglia. Avevo nostalgia di Robert quanta ne ho adesso della mia casa, credo. Sai che c’è, lo senti qui, vicino, sempre, ma a volte ti vien voglia anche di riabbracciarlo, di rivederlo, di stringergli la mano. Ché dal vivo il fratello maggiore, l’amico di tutte le tue esperienze di crescita, non cambia la voce come gli altri vecchi della musica, e sembra che stia su disco, come scrissi nel 2005, come confermo oggi. Chiudi gli occhi su Killing an Arab e Robert sembra stia nel 1978.
Poi a volte gli viene l’artereosclerosi e sbaglia il riff di Close To Me. Ma ti amo lo stesso.

Forse scadiamo a volte, un po’ tutti noi di questo popolo gotico, di questa gente con questo modo di vedere le cose, tutti neri tutti pensando alla fine d’ogni cosa, tutti nostalgici del passato, tutti tristi e tutti emo lacrime & sangue, redendoci ridicoli in alcune manifestazioni, in certi discosi, in certe esagerazioni.
Ma siamo sempre fatti della stessa pasta, e se basta uno sguardo per ritrovarsi, immaginiamo un concerto dei Cure.

L’appuntamento fisso con la nostra profondità.

mercoledì, marzo 05, 2008

Subito

Sul myspace degli Artemoltobuffa -non so perché- ci sono in streaming due nuovi pezzi, Fino a lunedí e il Crepuscolo.
La poetica di quest'uomo è qualcosa di indescrivibile.
L'ultimo cantautore italiano rimastoci.

Anche se la cosa c'entra pochissimo, il nuovo album degli Afterhours esce a marzo.
Finora Agnelli non ha sbagliato mai.

domenica, marzo 02, 2008

Juno


Alla fine Juno sono andato a vederlo, ieri pomeriggio, lasciamo perdere in che condizioni, e la Ellen Page ha sostanzialmente fatto un buon compitino, bella ed espressiva, bambina insicura e donna coraggiosa. Porta in giro il suo pancione per 2 ore di un buon film, leggero ma profondo, testimone di un’adolescenza diversa, del modo di confrontarsi con il parto indesiderato profondamente differente dal nostro. Piu' freddo. Son passati piu’ di dieci anni, del resto. Anche i film americani sono diversi.

In sostanza la Ellen non fa nulla di piu’ che in Hard Candy, anzi, se avessero dovuto dare l’Oscar a lei probabilmente l’avrebbe meritato, ma a livello di produzione, sceneggiatura (che l’Oscar l’ha vinto), fotografia e tutto il resto, 4 mesi 3 settimane etc di Puiu è seicento anni avanti.
Nulla di nuovo, solo una conferma che fuori da Hollywood esiste un mondo.
Migliore.

Il film comunque è molto piacevole, e a parte la colonna sonora di una bellezza rara –Kimya Dawson, Belle & Sebastian, Cat Power, Sonic Youth e addirittura i Velvet Underground- piazzare in un film una maglietta degli Alice in Chains e sopratutto una di Superunknown vale moltissimo.


Dice il saggio:
Ho capito che non ho amici perché ormai mi rompo le scatole.
Quel che mi interesserebe sapere, forse, è solo se e quando questo spirito di abbandono sociale, questa antipatia che sfoggio e questa voglia di isolamento mi passerà.
Non sono mai stato così: ma mi fa comodo, ed evidentemente tutto cio’ non mi angustia poi così tanto.