Sofia e altre storie
Nel novero delle cose più stupefacenti di questa nazione, non mi sento di escludere i telefilm dei ragazzini in età liceale à moda portuguesa.
Tralasciando i giudizi estetici sulle ragazzine e ragazzini in questione, in serie come Morangos com Açúcar o il mio unico e definitivo mito Diario di Sofia, estratto da una collana di libri, viene raccontata in tutto e per tutto la realtà scolastica e adolescenziale lusitana.
Una realtà che, ça va sans dire, è distante anni luce da beverly hills in poi: i giovani non si scambiano baci se non dopo mesi di namoro, si accomodano su una sedia del barbiere per raccontare i loro problemi, la protagonista è innamorata del cugino... L'ennesima dimostrazione di come questa nazione rimanga sempre ancora legata ad un mondo del tutto estraneo alle corse furiose di bambini col culo firmato drogati dal tutto e subito; la colonna sonora è per intero una rassegna ragionata del più fine college-rock (quello che nell'indie italico viene rappresentato da Bosvelt e poco altro) portoghese (in portoghese), i vestiti sono quelli che mettevamo noi ultimi provinciali al liceo (quando pariolismi e fighettitudo erano ancora al di là da venire) e l'unico tic europeo che si permettono è l'uso smodato dell'sms.
Siamo sempre nel 1970, qua, anche se mi trovo in una capitale bellissima e moderna.
Una capitale in contraddizione, di una nazione estrema, diversa, lontana, remota; da un passato duro, isolato sempre, in qualche modo; come quei vecchi che si accucciano negli angoli di una tasca a contare gli ultimi attimi giocando il tempo con conversazioni infinite.
Ogni rivolo ha un significato profondo, ed ogni significato è degno di essere simbolo del Portogallo.
Amata Lusitania, sconfitta, malinconica, nostalgica, che attendi il ritorno di qualcuno che é andato via e che non tornerà mai più a darti quella gloria che hai sempre bramato.
Dagli occhi scuri e tristi come quelli delle tue piccole donne, dolci, umili e sorridenti e sempre indaffarate, dal fascino rassicurante, familiare, che biascicano sussurri in una lingua meravigliosa.
Che dipingono diari, non si inaridiscono su un blog.
Come me, che per 26 anni non ho mai festeggiato nulla a livello calcistico, e da quando sono qua non ho mai visto o Leão perder.
E al primo anno interamente e basicamente portoghese vinco una Taça do Portugal.
Ho visto la partita allo stadio Alvalade, su un maxischermo perchè la finale di coppa si gioca allo Stadio Nazionale, e os bilhetes esgotaram-se há uma semana.
Ho cantato l'inno, mi sono emozionato, ho vibrato e sorriso e pianto, alla fine, di gioia, come mi succede sempre quando,in modo così stupido o infantile, mi sento interiormente legato a un sentimento di appartenenza, com'è lo Sporting.
Lo Sporting di 11 ragazzini indomiti, che ha superato ogni ostacolo e in questa stagione è stato fermato solo da un gol di mano a Madeira. Di una claque appassionata
e calorosa, che recitava cori d'amore ed ordinatamente entrava e usciva dallo stadio.
Scrissi, più di un anno fa, che un giorno il mio cuore avrebbe battuto là dentro, e per quei colori.
Quel giorno è già oggi.
Qualche chilometro lontano da qui, la squadra di Reggio Calabria, umiliata da undici punti di ingiusta penalizzazione (di fronte al Milan, e scusate se è poco), ha dato lezioni a tutti, non si è piegata di fronte a nulla, un gruppo di ragazzi che col cuore e con la maestria di un grande tecnico hanno firmato una delle imprese più belle e pulite
della storia del calcio moderno.
Gli Artemoltobuffa hanno messo nel loro myspace tre nuovi pezzi, molto belli, che fanno presagire un album più maturo e ordinato.
Li voglio dedicare, come dedico questo post, ad una persona che va via e che quasi con certezza non rivedrò mai più.
Un'anima in subbuglio, uno spirito complicato, un'intelligenza spiccata, un'ironia brillante, una ragazza bellissima.
Grazie per avermi incrociato, Blanca.