As câmaras da memória

Diario di un(o che continua a confermarsi un) antieroe
Vortici di pensieri disordinati: un italiano che ha anche vissuto a Lisbona, ma non per fare l'er*smus
"La vita per te é solo un pretesto per scrivere a ruota libera" (simon tanner aka humpty dumpty)
"Io lavoro, eri tu quello che faceva cazzate!" (Franca)

giovedì, novembre 22, 2007

La colla

Sono passati ormai quasi quattro giorni dai concerti che ho visto, nel fine settimana appena passato, degli Editors e di Vinicio Capossela.
Sugli Editors, diró che sono rimasto profondamente deluso dagli esiti: se, musicalmente, l'altra cover band dei Joy Division (e finisce, tra l'altro, la settimana-culto dedicata a Ian Curtis) è di poco superiore agli Interpol, il piú che osannato Tom Smith a parte l'evocativo cognome e una grinta sul palco à la Steve Tyler (lasciatemelo dire: completamente fuori luogo, per il genere e la musica che produce la sua band) -saltando sul pianoforte e godente dell'urlo della folla novello freddie mercury- perde la voce al 10º minuto di gioco e non la ritrova piu'.
Nemmeno a pagare. Ed io ho pagato ben oltre il giusto.
Per il resto, concerto di sicuro divertente ed emozionante (anche se la quantità di ragazze sovrappeso presenti, oltreché orrorifica, era spevantosa) ma assolutamente deludente per molti altri versi. Poco oltre la sufficienza.
Ed è un peccato, ché la location era il pavilhão belenenses, un palazzetto dello sport ostinatamente anni '70 dall'acustica quantomeno discutibile ove si esibirono, tra gli altri, i J&MC.



Ben oltre il discreto, invece, è il voto che mi sento di dare a quel cantastorie zingaro di Vinicio Capossela, capace di far saltare e ballare pezzi di ovvia derivazione siciliana alla platea incartapecorita di un auditorio fighetto nel cuore del palazzo della maggiore banca del Portogallo.
Capossela è una carovana che gira il mondo da 41 anni, e raccoglie esperienze, racconti e suoni per poi mescolarle da genio quale è e presentarli al pubblico; e, anche se di lui non entrerà mai nulla nella mia cameretta, intrattiene molto piu' di tanti altri autori e artisti e cantori, con un livello musicale sicuramente al di sopra del normale. Rapisce i cuori e da ubriaco lercio offre uno spettacolo divertente e profondo: ce ne sarebbe da scrivere su di lui, sulle maschere siciliane da asino che indossa sul palco, sulle traduzioni dei suoi testi in portoghese distribuite all'entrata, sul minotauro che dice di essere alla fine del labirinto che si porta dentro e il laicismo che conferisce ai testi biblici, sul tizio che si porta sul palco a suonare il moog, e la folla (ignorantissima) va in delirio -gente, in sostanza, che un moog non l'ha visto mai..
Potrei farlo, ma non sarà mai il mio genere: questa citazione, quindi, vale molto di piu' di qualsiasi altro sforzo che non ho proprio voglia di fare per parlarne.



L'Italia avanza, il Portogallo pure ed entrambi annaspando.
Quel che mi preme rimarcare, giusto per questo dedico due righe, è che i pub lisboeti monopolizzati dagli albionici rimarranno vuoti durante l'estate calcistica 2008.
Meglio di cosí si muore.

E ieri sera, dopo la partita, ai loucos, ho trovato un racconto su un giornale, di uno scrittore brasiliano, Luís Fernando Veríssimo, che, per quanto stanco sopratutto psicologicamente di questa giornata che ancora una volta mi ha dimostrato quanto sono differente dal vuoto cosmico all'interno della prigione quotidiana, qui con piacere traduco a beneficio et uso et consumo dei pochissimi che mi leggono.
Basicamente a mio beneficio.

LA COLLA
L'idea di riunire la classe del liceo 25 anni dopo il diploma sembrava ottima, ma César si pentì presto di aver accettato l'invito, non appena si accorse che chi si sarebbe seduto accanto a lui, al ristorante, sarebbe stato Marçal. Sì, proprio lui, Marçal!
-Allora, vecchio!?!
-Tutto bene, e tu?
-Ah, devo sapere tutto! Sei sposato? Divorziato? Figli? Nipotini?
-Sposato, due figli.
-Grande!
E Marçal continuava a dargli pacche sulle spalle.
Di questo dettaglio César se n'era dimenticato; Marçal dava sempre pesanti pacche sulle spalle. A "Grande!" seguiva sempre una pacca sulle spalle.
E la pacca era pesante.
-E tu? - domandó César, cercando di allontanarlo.
-Due matrimoni. Due? Che dico? Tre! Ho divorziato da poco dalla mia terza moglie, e nessun figlio.
-Ma davvero?
-Pensi che me ne sia dimenticato, vero?
-Di cosa?
-Della colla che non mi prestasti.
-Colla? Io?
-Tu, tu. Non ricordi? Certo che ti ricordi, la colla che ti chiesi e che mi negasti. Per principio. Ti ricordi?
Altra pacca sulle spalle. Piu' forte.
-Non ricordo niente...
-Ti ricordi, ti ricordi. Eri il primo della classe, e non mi volesti prestare la colla per una questione di principio. E a questo ci aggiungesti una grande lezione sui princìpi. E per colpa dei tuoi princìpi, poco ci mancó che mi bocciassero all'esame; ma riuscii a diplomarmi lo stesso. Con i miei voti bassi, senza alcuna raccomandazione, senza alcun futuro dopo la fine della scuola. E iniziai a lavorare vendendo macchine, e lo sai cosa sono diventato adesso? Lo sai, eh? Lo sai?
Pacca sulle spalle, e un'altra pacca sulle spalle.
-No... Cosa?
-Milionario! Al contrario di te, che sei... Cosa sei, eh, cos'è che sei?
-Avvocato
-Avvocato, certo. Ti sei diplomato da primo della classe, e tutte le porte ti si saranno aperte come per incanto. Scommetto che sei un avvocato irreprensibile, che hai una vita irreprensibile, una moglie irreprensibile e dei figli irreprensibili. Tutto cio' che si merita un uomo con dei princìpi. Grande!
-Smettila con queste pacche sulle spalle!
-Cosa?
-Non darmi pacche sulle spalle!
-Vuoi un pezzo di salsiccia?
Il cameriere aveva appena sistemato un vassoio con della carne tra i due.
-Prima tu.
-No, no, prima tu. Chi ha dei princìpi, dá principio (fedelmente letterale, ma per fortuna si capisce e rende l'idea, n.d.t.).
-Ascolta, dimentichiamo questa vecchia storia, dai... Dopotutto sono passati 25 anni...
Maçal rimase in silenzio, guardando il suo piatto vuoto. Rifiutó la salsiccia, rifiutó il pollo. Quando fu il momento della bistecca di vitello, si rivolse a César e gli diede un'altra pacca, stavolta leggera, sul braccio. Gli disse:
-Parlami della tua famiglia. Della tua vita.
E gli confessó che aveva fatto di tutto per sedersi accanto a lui, dal primo momento che l'aveva visto arrivare. Voleva sapere tutto di lui, tutto... Ma rispettosamente, in modo innocente, senza risentimenti. I 25 anni di César erano quelli di un uomo vissuto con dei princìpi, e voleva sapere in cosa erano stati diversi dai suoi, vissuti senza alcun principio...
Sarebbe stato solo per arricchirsi dal confronto.
-Ti dispiace, César?
-No. - disse César -Solo, smettila con queste pacche sulle spalle.

di Luís Fernando Veríssimo.
da Actual - supplemento dell' Expresso - edizione del 10 novembre 2007

Edit, nota importante, dopo una conversazione illuminante con Gigio.
Io sto dalla parte di Marçal.
O meglio, io sono Marçal.

About Magpie

Milk, che da tempo immemore mi accompagna.
L'arte di guardarsi le scarpe, appunto.
Parlando di Offlaga (o meglio, meno di offlaga e ció che piu' mi aggrada di Daniele), il nostro ha scelto senza dubbio la migliore del lotto, per entrare in questa compilation (download gratuito) d'altissimo merito.
Ed Enrico parte con progetti nuovi.

lunedì, novembre 19, 2007

Arriva

venerdì, novembre 16, 2007

Un post sui Joy Division: Control, la biografia caduca d'un dio

Premessa: facendo una breve ricerca su internet, ho scoperto che il film del quale tra poco vi parleró probabilmente nelle sale italiane non uscirá mai.
Al di lá del fatto che io ho la fortuna di vedere tutti i film in lingua originale (qui il doppiaggio non esiste e non è un caso che è da un po' che non vi parlo di Tom Cruise), questo l'ho visto anche in anteprima sul suolo luso a ben 4,50€.
Non era esaurito, ma vi assicuro che la sala era piena.
In Italia neanche arriva: fosse stata la storia di Costantino (non l'imperatore, e non so se ancora ce l'avete o se l'avete cambiato con qualche copia dal nome diverso), o il concerto di Vasco a San Siro, peró, avrebbe sfondato i botteghini.
Rendetevi conto da soli dello stato delle cose




Control, di Anton Corbijn, racconta gli ultimi cinque anni della vita dell'uomo che vedete qui sopra, (non dovendo aggiungere perché dovreste saperlo) morto suicida all'età di 23 anni a Macclesfield, Inghilterra, stroncato dall'amore, dalla fama, dall'epilessia.
Alla vigilia di un tour negli Stati Uniti.

La figura di Ian Curtis non ha scatenato i delirii di ipotesi e gli scarichi di colpe che scatenó un Cobain (e la differenza, cari miei, mi pare che sia abnorme), e comprendo perfettamente che il regista, scegliendo un tratto decisamente biografico,abbia dato maggior importanza al susseguirsi degli eventi che ad altro.

Ed infatti la pellicola è molto fedele al libro scritto dalla moglie di Curtis, Deborah, coproduttrice del film (e tutt'altro che severa, anzi, con il personaggio dell'amante di Ian, Annik Honoré, e questo la dice lunga sull'impostazione distaccata del racconto - la vedi Courtney Love, a prendersi colpe o ad essere oggettiva? Debby non si stacca da Macclesfield, Courtney è na zoccola).

La pellicola è molto ben fatta senza dubbio: dal liceo al tour americano passando per un matrimonio difficile, gli attori si destreggiano in modo impareggiabile.
Deborah è svampita e innamorata, disperatamente, fino all'ultimo, Annik è una giovane groupy, i New Order fanno la figura degli egoisti aggrappati al denaro, il solo Rob Gretton fedele in fondo. Molto in fondo.

Ian passa attraverso difficoltà adolescenziali, un matrimonio troppo precoce, una figlia arrivata presto, l'epilessia, un lavoro (al centro di collocamento, e lo vediamo alle prese solo con casi difficili, un'epilettica e un handicappato) assolutamente lontano da sé e dai suoi sogni, un'impossibilità nascosta di gioire della vita, di cogliere la felicità, di guardare al futuro con fiducia.
Finché non arriva anche il successo, che lo prende alle spalle e lo travolge.

Vediamo chicche spettacolari, particolari piu' o meno noti (Ian era tifoso del City, non lo sapevo ma lo sospettavo; Deborah stava insieme ad un suo amico; She's lost control è stata scritta in un momento particolare), sopratutto quando si parla di Curtis al liceo vediamo un concerto dei Sex Pistols e album a bizzeffe di David Bowie; vediamo un attore protagonista,
Sam Riley, SPAVENTOSAMENTE IDENTICO al personaggio che incarna, capace di mimare alla perfezione persino i movimenti sul palco, si tributi un'ovazione clamorosa per lui; vediamo un film in bianco e nero con un bassista sempre con la battuta pronta, un batterista stralunato, un chitarrista effeminato, una ragazza insicura; telefoni a rotella e crisi epilettiche; la fede nuziale sbattuta a centro schermo ad ogni inquadratura di ogni cocnerto.

Ma non sentiamo la pesantezza di tutto questo sulle spalle di un giovane di 23 anni che qualche mese prima aveva deciso di crare una famiglia in un sobborgo di Manchester.
Ian Curtis vive distaccato dalla band, dalla famiglia, dal mondo; la cosa peggiore è che nel film appare così silenzioso da finire per distaccarsi da sé stesso (e forse questo silenzio è la forza con la quale Deborah chiede perdono per non essersi avveduta di troppo e tanto - ma la cosa rimane in secondo piano per tutto il film), quando invece la coscienza dell'incapacità di essere una star o cio' che gli si chiedeva lo rendeva perfettamente lucido e lo ha portato all'atto estremo
(parlavo di suicidi sportivi, infatti, fatte le dovute proporzioni, qualche post fa).

Ian Curtis non chiede aiuto nella sua depressione, vive e porta tutto dentro, vive dentro la doppiezza sul palco e nella vita quotidiana coi New Order, vive dentro l'amore con la groupy e le telefonate nel cuore della notte a Debby (quanta differenza tra le ingenue coccole adolescenziali che si scambiano gli ancora giovani Annik e Ian -qual è il tuo colore preferito, che film ti paicciono- con le lacrime da uomo adulto, che interrompono qualche giorno dopo l'amplessoche consuma il rapporto logoro con la moglie), vive dentro l'epilessia e la lucidità.
Ma è troppo in secondo piano, troppo nascosta, troppo problematica la figura di Ian nel racconto del film: di percorsi psicologici azzardati o pensieri distruttivi vediamo l'ombra ma non ne cogliamo il succo; Corbijn indaga pochissimo sull'interiore del protagonista, intuiamo la presenza di molta profondità, ma non ne abbiamo un riscontro tangibile.
Rimane un personaggio incom
pleto.
Quasi sono piu' delineati i tratti dei comprimari che i suoi stessi.

Ed è forse questo l'errore piu' grave di una produzione che in ogni caso va ben oltre la sufficienza, per tema trattato, per scenografie, per colonna sonora (ovviamente), per recitazione.



Questo è un post su Ian Curtis, su un film fatto per lui, su un uomo che ha cambiato la musica e molto piu' umilmente la mia vita come pochi altri han fatto: in fondo, è un post sui Joy Division.
Che in tutta la recensione non sono mai stati nominati nemmeno una volta.

domenica, novembre 11, 2007

Io, tu e i gradini vuoti della Bica

Mercoledì 7 novembre ho visto Interpol+Blonde Redhead in un Coliseu de Lisboa coi biglietti esauriti da molto tempo.

La cosa ha la sua spiegazione, nel fatto che storicamente il pubblico portoghese ama i concerti rock live (visto che sembra che si stia riparlando di rock, nel senso piu' genuino ed onesto della parola, per la prima volta nella storia questo blog si allinea e utilizza un vocabolo già abusatissimo), sopratutto quando sono parecchio animati, o quando la base ritmica invita a muoversi per due ore e piu' sotto un palco.
È quello che è accaduto con gli Interpol, band per la quale probabilmente ho speso sempre molto piu' che due parole, come universalmente noto gruppo cover dei Joy Division, che hanno ripagato in maniera del tutto onesta il biglietto del concerto; concerto che, molto stupidamente, ho seguito seduto nello stesso posto dal quale ho visto i NIN, ma, mentre per Reznor non ho avuto alcun rimpianto nel non essermi piazzato in mezzo alla folla pogante, questa volta, devo dirlo molto onestamente, ho sbagliato e di grosso.
Perché è vero che al concerto eravamo equamente divisi tra nostalgici di anni '80 e abiti neri e ggiovani alternativi che se gli parli di Ian Curtis ti dicono che quando giocava nel Crystal Palace era piu' forte, ma gli Interpol hanno dalla loro la capacità -per lo piu' rara di questi tempi- di fare pezzi semplici, con due-tre accordi, quattro variazioni, due crescendo ed eccoti servita una perfetta canzone rock, col pubblico in delirio ad accompagnare le gesta e parole di un biondino vestito di nero che non arrisca mai la voce, forzando il nasale curtisiano e schitarrando quando si ricorda che deve farlo.
E allora avrei benissimo potuto starmene là sotto a sgomitare, a cantare Rosemary o le canzoni del primissimo album, a **** e ****** de graça: probabilmente non avrei capito l'errore dilettantistico del bassista al primo encore su Not even jail o le pose inutili del primo chitarrista per tutto il tempo, ma sicuramente mi sarei divertito di piu' e non avrei avuto remore nel rispondere qualcosa alla biondina frangiata alla mia destra, che invece ho ignorato per tutto il tempo, nonostante lei mi chiedesse insistentemente da quale album dei Blonde Redhead fosse uscita la bellissima Equus

Lei ovviamente convinta che i BR fossero italiani (cosa che io non ho assolutamente negato, vuoi mettere, finalmente qualcuno che rappresenta la musica della mia nazione non rispondente al nome di Ramazzati o Pausetta); BR che qualitativamente hanno di molto superato gli Interpol stessi, in quei 45 minuti di apertura che hanno regalato, mantenendosi un po' diversi dalla canzone-forma-album, cercando soluzioni nuove, imponendo il loro suono particolare ed unico, attraversato dalle piu' sparute influenze, con la voce di Kazu bambinesca o stridula (come la migliore PJ sapeva regalare anta anni fa) di una sensualità da lasciare senza fiato.
E il nuovo album, 23, rende molto piu' dal vivo: ovviamente non è Misery is a Butterfly, ché stiamo parlando di un'opera che rimarrá nei decenni, per la sua maestosa beltà, irraggiungibile non solo da loro, e quindi tanto maggiormente c'è da levarsi il cappello di fronte ad una prova autentica e tutto sommato piu' che sufficiente per i newyorkesi trapiantati in questione.
La maggior parte dei gruppetti indie o presunto tali se lo sognano un album come 23.
Rimango dunque profondamente convinto che tra i due, chi doveva aprire il concerto fossero i figli dei JD.

(...)


Morire, d'amore, d'allegria, di musica, di attese, di speranze e di nostalgie.
E rinascere ogni volta.
C'è peró chi da stasera non rinascerà mai piu'; morto, brutalmente, accidentalmente, o piu' semplicemente senza che mai se ne saprà la ragione, a ventiseianni, per andare a vedere una partita di calcio.
Non mi interessano niente le ragioni o le dinamiche.
Non m'importa che fosse fascio, arrogante o nonsocosa.
Non si muore per una partita di calcio, e non si reagisce con tutta quella esasperazione, né da un lato, né dall'altro.
Quella nazione mi fa schifo, la mentalità imperante di quella nazione mi fa ribrezzo.

Preferisco questa scarsa serie C portoghese, con i bambini che sorridono di gioia dalla mano col papà in curva senza transenne.
O qualche altro posto.
Qualsiasi.
Lontano anni luce dalla vostra pazzia.

lunedì, novembre 05, 2007

Martina

Com'è che si è arrivati a questo punto, Martina, forse non lo sapremo mai.

Ricordi, Martina, piccola com'eri, a tenere in mano quell'enorme racchettone, e tutti ti ammiravano, dea meravigliosa, prodigio dell'evoluzione umana di quella parabola di nevrosi esistenziale comunemente definita tennis.
Ancora non sapevi parlare, Martina, e tutti ti stavano già chiedendo di piu'.



Ricordi, poi, quando sei scappata via dalla tua Cecoslovacchia, tua madre ti prese per mano e ti porto' in Florida, e poi in Svizzera.
Togliendoti le bambole, togliendoti la normalità, mettendoti nella testolina che avresti dovuto sempre dimostrare, in ogni tua manifestazione, pubblica, privata e sopratutto interiore, che eri la migliore, la piu' forte, la predestinata, la prima della classe. Tutti ti chiedevano di piu'.
Volevano creare un robot, Martina.



E li hai sempre presi in giro, piccola bambolotta dal sorriso accecante.
Perché il tuo cuore non è mai riuscito ad essere di ghiaccio, dolce Martina; il tuo cuore vispo e colmo di gioia, a 16 anni vincendo Wimbledon, o il 31 di marzo del 1997 in testa alla classifica mondiale a 17 anni; il tuo cuore nero quando l'8 settembre del 2003, stanca delle Williams, stanca del tuo tennis melodioso e ridondante stroncato dalla brutalità di mostri senza senso, annunciasti di abbandonare tutto e di dedicarti solo ai cavalli; il tuo cuore bambino quando sei tornata, un anno fa, a distribuire di nuovo sorrisi e bronci attraenti a chi ti adorava; il tuo cuore spaccato il giorno del tuo 27º compleanno.



E nessuno lo ha mai capito.
Nessuno, di chi ti ha sempre chiesto troppo piu' di cio' che eri; crescendo sopra tutte e sopra tutto, da sola, con quel pensiero fisso che diceva "devi essere la migliore, devi essere la migliore"; regalando tutto a questo sport, le tue passioni, le tue paranoie, le tue paturnie, i tuoi drammi grandi e piccoli, i tuoi desideri e i tuoi piu' profondi pensieri.
Per avere in cambio solo l'invidia e la cattiveria che ti hanno riversato addosso finora, sino in fondo, senza pietà né riconoscenza.




Non so, Martina, se davvero ti sei strafatta di cocaina a Wimbledon.
Non sei una stupida; a partire da quando entri in campo, in qualsiasi gioco tu abbia mai disputato nella tua vita lo hai dimostrato; non lo sei mai stata, fino a quando ti sei fatta fotografare offrendoci la tua straripante bellezza cavalcando un momento in cui eri davvero regina.
E non ti condannerei, se ti fossi davvero strafatta. Non ti condannerei di fronte ad un mondo bacchettone e bigotto con gli occhi tappati e coperchi dorati su lerciume e merda varia.



E capisco la tua nausea, dea troppo grande e trascendente per questi quattro zotici che nei tuoi occhi non hanno mai scorto l'azzurro bagliore d'altro mondo che appariva d'improvviso quando decidevi che il gioco doveva cambiare.
Capisco il tuo sorriso spento, amaro, e la voce tremante e forte dell'annuncio del ritiro.



Capisco quante volte hai detto basta, a questo mondo ingrato. Basta all'ingiustizia di chi ti batteva solo perché aveva studiato da bruto e spaccava le porte anziché trovare le combinazioni giuste per aprirle, rivolgendosi ad esse dolcemente, parlandole una lingua fatata, decorando d'infinito l'aridità di questo mondo.



Al quale hai regalato queste gocce d'immenso che sei sempre stata.
Sentimenti profondi di allegrie lontane.
Immensità vellutate di voli di nobili falchi, incorruttibili e irraggiungibili.



Chi mai avrebbe potuto capire? Chi mai avrebbe potuto cogliere?
Chi mai avrebbe potuto avvicinarti?
Sei andata via così, senza chiederti piu' perchè, senza chiederti alcuna ragione; portandoti dietro il campetto d'erba bagnato di rugiada, una pallina spelacchiata gialla e una racchettona che non entrava nella tua manina, oggetti cui hai dato un'anima dolce che hai solo cercato di offrire.
A chi mai avrebbe potuto comprendere quanto fossero preziosi,
piccole cose semplici dense dei dolci tepori che porti dentro.



Scappa via, adesso.
Scappa via piú lontano che puoi, Martina Hingisova Molitor.
Dimentica ingiustizie e tradimenti.
Il tuo cuore ha bisogno di spezzare ogni gabbia, di volare alto.
Di essere tuo, e solo tuo.
Di non avere piu' nessuna catena che possa violare
il segreto di quell'eterno candore
che nessuno
ci ruberà mai.

giovedì, novembre 01, 2007

Addio

La notizia mi ha scosso seriamente, chi mi conosce personalmente sa che non sto scherzando.
Qualcosa è cambiato, nella mia vita, e questo avrà le sue ripercussioni.
E sono così scosso che non ho la forza di aggiungere altro, adesso.



Primo novembre 2007.
Martina Hingis si è ritirata dal tennis.
Due giorni dopo il suo ventisettesimo compleanno.
E probabilmente, questa volta è per sempre.