As câmaras da memória

Diario di un(o che continua a confermarsi un) antieroe
Vortici di pensieri disordinati: un italiano che ha anche vissuto a Lisbona, ma non per fare l'er*smus
"La vita per te é solo un pretesto per scrivere a ruota libera" (simon tanner aka humpty dumpty)
"Io lavoro, eri tu quello che faceva cazzate!" (Franca)

venerdì, febbraio 29, 2008

Centotrentachili

mercoledì, febbraio 27, 2008

Meno dieci



lunedì, febbraio 25, 2008

Solo a pensare di cosa parlerà una canzone dal titolo Grapevine Fires mi viene da ribadire che Gibbard è un genio


Mentre mi esibivo nella produzione di scongiuri, sortilegi ed arcani affinché domani mattina mi svegli e legga che la nostra beniamina da tempi immemori Ellen Page ha vinto l’oscar come migliore attrice- per Juno, un film che guarderó... domani-, vengo a scoprire che i Death Cab For Cutie pubblicano il 13 di maggio il loro nuovo album, Narrow Stairs, prodotto da Chris Walla. Quello che sarà il secondo album major per Ben Gibbard, a seguito di Plans (che nel duemilacinque finí primo nelle mie classifiche) ha già una tracklist:

1. Bixby Canyon Bridge
2. I Will Possess Your Heart
3. No Sunlight
4. Cath…
5. Talking Bird
6. You Can Do Better Than Me
7. Grapevine Fires
8. Your New Twin Sized Bed
9. Long Division
10. Pity and Fear
11. The Ice Is Getting Thinner

E I Will Possess Your Heart sarà il primo singolo.

I Bauhaus hanno fatto un album inascoltabile, pessimo, brutto.
Gli Alluminium Group, specie di incontro tra Burt Bacharac e il post-rock – un progetto dal quale sono passati anche i Tortoise- han fatto un album di pop perfetto, tra bossanova e musica da camera, o pop americano da telefilm anni ’80, chiudendo la trilogia della felicità con Little Happiness, di facile ascolto e dal groove triste, destinato ad essere un ascolto piacevole ed importante per molto tempo e da posizione alta in classifica di fine anno.
La bellissima Milligram of Happiness spicca sopra tutte.

Mentre giusto due post fa parlavo di Helio Sequence e ovviamente Keep Your Eyes Ahead è un'operetta molto piú pop che shoegaze destinata comunque a pesare molto nel corso dell’anno. Un po’ una svolta, alla quale peró mi sento di applaudire con convinzione quando sento l’elettronica demodé di pezzi come The Captive Mind o Halleluja (che sará uno dei pezzi dell'anno).
In ogni caso il capolavoro post Blood Bleed, una canzone che me li fece amare diversi anni fa, è parecchio lontano.

Edit: la Page non ha vinto. Ha vinto peró die Falscher - Il Falsario di Stefan Ruzowitzky, una produzione austro-tedesca che ho visto in anteprima al São Jorge il 30 gennaio di quest'anno.
Oscar meritatissimo per un film che parla dell'Olocausto come mai nessuno, con toni forti e una storia convincente, ben recitato e ottimamente realizzato.
Per il secondo anno consecutivo, tra l'altro, vince l'oscar come miglior straniero un film in lingua tedesca (La vita degli altri 2007). Uma salva de palmas a un cinema in perfetta salute, a un popolo che parla delle sue tragedie personali con spietato distacco e spirito di autocritica. Fortissimo.
Meditate, gente, meditate.

Ne approfitto quindi per augurarmi un Oscar rumeno per l'anno prossimo.

domenica, febbraio 24, 2008

L'eterno ritorno

Stasera, e solo stasera, vorrei stare in Italia, per festeggiare il trionfo della mia piccola e gloriosa Reggina, che pagó carissimo per la mafia organizzata di Moggi e company, ma sopratutto per vedere e sentire i commenti degli juventini.
Una volta che si sono trovati al di qua della barricata.
Lo vedete che significa essere derubati?

Godo.

domenica, febbraio 17, 2008

La Bachelite nella terra del Socialismo reale


L’incipit di qualsiasi commento o recensione di Bachelite, il secondo album degli Offlaga Disco Pax, altro gruppo da me amatissimo e per il quale se finora non ho mosso alcuna critica è solo perché davvero non ne ho trovato neanche una ragione, sarà, abbastanza prevedibilmente e con ovvia cognizione di causa, "era difficile ripetersi".

Perché il Socialismo Tascabile, ai tempi, rappresentò un vero e proprio punto di rottura nel panorama musicale italiano. Gli ODP sono stati qualcosa di nuovo, di immensamente originale, di inascoltato ed inedito che accomunarli a qualcosa o qualcuno è tecnicamente impossibile.
La vera sfida, per loro stessi piu’ che per noi ascoltatori, era riuscire a riproporre un suono altrettanto originale da distanziarsi in qualche modo dal Socialismo, senza perdere pero’ la magia nascosta dietro ai testi, quei quadretti di Emilia Romagna rossa degli anni ’70 e ’80, quel mondo vintage dimenticato e che sembra lontano anni luc
e, e alla musica, l’arte di Daniele Carretti ed Enrico Fontanelli, unici sacerdoti dello shoegaze autentico che puo’ ascoltarsi oggi in Italia (e in Portogallo, per esaurire tutto cio’ che posso garantire).

E con una facilità disarmante gli Offlaga ci sono riusciti.
E anche questa volta è con immensa gioia che posso collocare su livelli di eccellenza Bachelite,
un album bellissimo, un capolavoro, che mi ha lasciato ben piu’ incantato dalla maturità raggiunta dei Baustelle, scalzati sin dal primo ascolto dell’opera somma dei nostri.

Il ritorno di Max Collini e soci, questo secondo capolavoro dalle tinte grigie e rosse, è segnato da testi meno ironici forse, piu’ rassegnati e trascinati, meno da proclama, mentre musicalmente la voce di Max è molto bassa, quasi impercettibile in alcuni passi; segno anche di un mutamento sostanzaile nei testi: Collini è cresciuto, è piu’ intimo, piu’ saggio. Nonostante avessi letto alcuni dei testi contenuti in ques’album molto prima addirittura dell’uscita del Socialismo Tascabile, direi che solo qui potevano esser presenti canzoni come Cioccolato IACP o Sensibile: le differenze sono profonde, Max smette di lottare in modo piu' evidente contro l’ingiustizia della cancellazione e del rastrellamento di quel mondo provinciale e solidale reggiano, e racconta storie, stavolta tutte –anche drammaticamente, a volte- vere, da un palco diverso. Il Collini sembra uno di quei vecchi comunisti che hanno letto un sacco ma che sono andati solo a scuola di vita, passati attraverso battaglie e sconfitte ideologiche pesantissime, e che sfoderano un’ironia ed una saggezza rassegnate tanto da annichilirti per la concreta semplicità con la quale spiegano il mondo.

Dal punto di vista delle melodie la crescita di Fontanelli e Carretti è stata, invece, spaventosa.
Non c’è ombra di dubbio che suonare insieme quasi ogni sera per due anni li abbia aiutati entrambi in modo notevole, rendendoli affiatati piu’ di quanto già fossero e permettendogli sperimentazioni ed esercizi in congiunto, ma al di là delle collaborazioni (Fumagalli - Andy dei Bluvertigo- e Reverberi su tutti) entrambi sono ormai di un altro pianeta. Daniele è un discorso a parte, perché sembra che qualsiasi cosa alla quale metta mano si tramuti in oro, dai Magpie alle meraviglie assolute di quest’album, Sensibile ed Onomastica, canzoni che nemmeno i Pixies nel loro punto piu’ alto sarebbero riusciti a comporre, mentre il senso della melodia di Fontanelli è l’inimitabile mood Offlaga Disco Pax, in cinque canzoni su nove la firma è sua, nei picchi di Lungimiranza e Venti Minuti. Attualmente non vedo un compositore superiore a loro. Né in Italia né all’estero.

Bechelite è un altro viaggio nell’immaginario collettivo di una terra e un modo di vivere che sopravvivono in ricordi, in piccole avventure quotidiane, in grandi e piccoli incontri di ogni giorno, al pari del Socialismo Tascabile e come il Socialismo non stanca dal primo all’ultimo secondo. Mai che skippi una canzone del cd, mai una caduta di intensità, mai il cantastorie suffragato dalle musiche in chiaroscuro dei due strumentisti stanca nei suoi racconti antichi e vivaci.

Il viaggio inizia con Superchiome, che apre l’album quasi a compitino, la ragazzetta nata ai tempi del Punk da accogliere col napalm, seguita da Ventrale (ascoltabile su myspace), che introduce l’estasi elettronica classica Offlaga. Ventrale, efficacemente scelta come battistrada dell’album, come manifesto, la lunga spiegazione del salto impossibile di Vladimir Yashchenko, un gesto così commovente fino alla metafora profondissima del saltare il Doctor Who, la differenza tra il cuore proletario e il dilettantismo laburista, si candida ad essere uno dei pezzi piu’ belli di tutta quella che sarà la storia ODP, intensissimo e caloroso.
Dove ho messo la Golf è melodiosamente indimenticabile, marcetta che incalza come le declamazioni di Max, il Morgana detto alla Piero Pelú e l’apologia di Lula da Silva, e apre le porte al vero capolavoro.
Sensibile.

Sensibile, lo dico da qualche giorno, si candida seriamente ad essere la canzone del millennio.
Il giro di chitarra, gioiello incantevole del Carretti, è qualcosa che neanche i Mogwaii sono mai riusciti a raggiungere, mentre il testo, fiera ed altissima indignazione di fronte al relativismo della parola sensibile fino ad indurla a relativizz
are il senso della colpa e della giustizia cresce e si adagia sugli arpeggi dreamy post rock caricati di chorus. Una canzone meravigliosa, da antologia della musica, capace di mantenersi meravigliosa senza distinzioni di tempo, che riesce ad ergersi sul resto dell’album altrettanto magniloquente ma, bontà loro, non altrettanto geniale come i cinque minuti e quarantanove secondi di Sensibile. Violoncelli, il Rhodes Mark, la variazione d’arpeggio accompagnato dalla crescita di tono di Max sono un tappeto onirico in un crescendo da eredità Cocteau Twins nitidissima, e pace all’anima dei Disciplinatha e delle provocazioni insensate e fini a sé stesse. Sensibili anche loro.

Lungimiranza è un altro capolavoro, il pezzo piu’ ironico del disco, ché da Reggio Emilia han fatto carriera tizi improponibili, ed anche musicalmente il piu’ estremo, con Fontanelli al moog e il pezzo a saltare come un cd rigato. Novità profonde in casa Offlaga, da questo punto di vista, un pezzo orecchiabile e dalla melodia indimenticabile. Chi a cucinare, chi a fonicare e tra dieci anni chi lo sa. Questo pezzo funzionerà come Robespierre, come Kappler e il Tono Metallico. Denso di frasette che diventeranno citazioni nei discorsi di tutti i giorni. La vera forza di questa band, la sua assoluta vicinanza al mondo e al modo di essere del proprio pubblico.

E a Lungimiranza segue un altro pezzo antico degli ODP: Cioccolato IACP, riveduta e corretta con l’aiuto di Jukka Reverberi che ci mette persino la voce, una storia neorealista vissuta tra i palazzoni dell’Emilia degli anni ’80, dai drogati che convivevano con bambini ed anziani e il senso della carità e della solidarietà innati, fino alla scoperta del sesso orale, lugubre nella musica, onorevole nell’ambientazione: è spaventoso come Collini, usando soltanto le parole, scatti fotografie nitide in bianco e nero, o disegni quadri ad acquerello di mondi lontani eppure così concretamente tangibili da commuovere e far riflettere.

A Fermo!, la brutalità di ogni catena, e l’istinto profondo di scapparvi, qui con la presenza ancora piu’ forte di Reverberi (nettamente un pezzo Giardini di Miró) segue Onomastica, un basso tambureggiante e monotono alla Bauhaus e anche alla Cure periodo Kiss me Kiss me Kiss me, sopratutto per quella presenza del sax all’inizio del pezzo, un altro colpo di genio di Carretti, capace di saldare le influenze piu’ cupe degli anni ’80 e spiegarci la sua visione di new wave in meno di 6 minuti, con un Max quasi a cantare, a rappare. Robe da far impallidire i Massive Attack.

Fino ad uno dei capolavori supremi, Venti Minuti, il pezzo che porta alle lacrime. Qualche citazione addirittura Helio Sequence, intermezzi armonici e Max che racconta di una telefonata routinaria che ogni anno riporta venti amari di ricordi lontani, sussurri di parole non dette, amarezze che il tempo solo nasconde, o oblia finché puo’.
Come in ogni pezzo Offlaga, come in ogni nostalgia di tempi lontani e perduti.

Tanti hanno amato gli ODP in questi anni. Alcuni li hanno stimati credendoli erroneamente un gruppo politicizzato (passó alla storia l’inopportunità di una intervista della maugeri a brand bew) e tentando di renderli bandiera della musica sinistrorsa di questi anni, collocandoli al lato di Ferretti sbalgliano clamorosamente, altri li hanno adorati, o li hanno calpestati, presumendo che fossero nient’altro che la copia odierna dei Massimo Volume.
Io ho amato, e amo gli Offlaga Disco Pax per quello che sono. Per la loro originalità, per il loro inconfondibile marchio che hanno saputo cambiare, plasmare, rilanciando e scommettendo su tutti quegli elementi che fanno parte della loro poetica, del loro mondo, di tutto quello che han costruito e che li rende così unici.

Senza tentare di essere piu' appetibili o piu' accessibili. Essendo loro stessi, puntando sullo shoegaze e su proclami meno aggressivi, meno diretti, eppure così profondi ed intensi da essere ricercati e difficili, cogliendo nuove esperienze e sommandole alle proprie, al proprio immaginario e al proprio stile.

Un altro album magistrale,
un altro cofanetto (ovviamente anche stavolta di una bellezza vintage inenarrabile) di ricordi di mondi lontani da riaprire e permettergli di farci sognare come sempre appena si vuole.


Gli Offlaga Disco Pax l’immortalità l’avevano già raggiunta. Si è trattato solo di riproporla, in quella magia che solo loro sanno custodire ed esercitare, e che soprattutto sanno trasmettere, lasciandoci come sempre, come ogni volta incantati e innamorati dallo splendore della sua unicità.

martedì, febbraio 12, 2008

Francesco Bianconi e l'estetica del sublime


Probabilmente avrei dovuto scrivere il post sui Baustelle in un altro momento, quando l’entusiasmo per quello che si candida a pieno titolo come uno degli album più belli dell’ultima decada –non solo in Italia- non si fosse un po’ offuscato come adesso, che mi ritrovo ad ammirare, straordinariamente incantato, l’ultimo album degli ODP; perché la cosa bella di questo periodo è che questi due album sono usciti insieme, e sono stati insieme due rivelazioni e due opere talmente somme tali da essere capaci di cambiare profondamente il cammino e l’esperienza professionale dei nostri eroi.

È che ho voluto attendere fino all’arrivo del cd, dell’originale, qui in Portogallo…

E Amen, il quarto album dei Baustelle, prodotto per la Warner, il secondo dopo il passaggio a major, è senza dubbio l’opera piu’ matura dei nostri, e in un certo senso anche il definitivo assestamento su livelli immortali e la conferma dell’intuitività, della originalità e del preziosismo della scrittura di Francesco Bianconi.

Di fronte al sublime di Amen, infatti, non solo la Malavita, da me stracciata senza pietà qualche anno fa (e sin d’ora rigetto quindi qualsiasi accusa di parzialità o scarsa oggettività nei riguardi di un gruppo che non ho mai nascosto di amare moltissimo, ma che ho sempre giudicato con somma obiettività, almeno, con tutta l'obiettività della quale son stato capace), dimostra di essere stato solo un album di passaggio, una breve involuzione, una parentesi infelice (ma non troppo, parlo in relazione alla loro discografia, nel panorama italiano ci sono gruppi che venderebbero l’anima per almeno pareggiare il disco del 2005) piu’ che chiusa, ma anche la stessa, immensa Moda del Lento, ne esce completamente ridimensionata, pur mantenendo il suo valore altissimo.

Perché Amen, sin dal primo ascolto, si è dimostrato un cd perfetto, dalla prima all’ultima nota.

La scrittura di Bianconi, provinciale ormai trapiantato in metropoli senza mai aver perso gli elementi fondamentali della sua origine, caustico narratore di storie sporche e turbate o pungente critico della bassezza umana, rimane forte e ricercata, densa di citazionismi e mai banale (e che pregio, il naif baustelliano, il punto di incontro tra storie semplici e linguaggio ricercato), con le punte altissime del capitalismo auto consunto o amore mio dice il governo che è passato ormai l’inferno e ti ho sposato, mentre la musica, una maturazione e un rimodellamento costante sin dal Sussidiario del pop dei Pulp, con ormai Massara completamente fuori dal gruppo, questa volta colorata da una quantità di arrangiamenti e orchestra inusitati, soltanto ad un primo e superficiale ascolto eccessivi, è ormai la versione piu’ architettonicamente curata del suono classico baustelliano, dalle eccellenze lo-fi sussidiariche a questo logico puzzle di pezzi indimenticabili.

Il modo migliore di sfruttare la Warner, in un certo senso: ci sono i mezzi ed allora costruiamo il nostro monumento, ed ecco un pezzo pregiatissimo, un cd d’alto lusso, nel quale la chitarra di Brasini ritorna abbellimento e melodia e la Bastreghi ritorna ad essere il velluto di sussurri caldi che la rende unica, molto piu’ presente che nella malavita, mentre ogni pezzo ha il suo collegamento con la storia precedente baustelliana; ogni pezzo infatti ha una sua unicità (è per questo che il cd non potrà stancare mai), e rappresenta le varie angolature del pop secondo Bianconi.

Sin dal primo cantato, infatti, vediamo la pratica dimostrazione di uno dei paradigmi preferiti di Bianconi: Colombo (curiosamente lo stesso nome del piu’ grande centro commerciale del Portogallo, il non luogo per eccellenza, un mostro di fronte allo stadio da Luz delle dimensioni del mio paese d’origine, addirittura coi nomi delle strade e vere e proprie piazze del consumo sfrenato) è la chitarra ad accordo pieno in entrata e successivamene a semplice distorsione, marciando su variazioni in scala, che accompagna la descrizione degli idoli del nuovo millennio, delle Nuove Droghe Televisive (architetti di Bel Air che uccidono per soldi come te) spacciate da Fox, col caviale a colazione per l’immedesimazione delle ormai ex massaie diventate lavoratrici o dei precari delusi del 2008, e la variazione a doppia voce, la prima, l’introduzione al duetto quasi perenne, finalmente e di nuovo, di Rachele e Francesco, che preannuncia fuochi d’artificio spettacolari.

Fuochi d’artificio che vediamo poco in Charlie fa Surf, primo singolo, che se ascoltato da solo forse è deludente –per un vecchio fan- essendo un medley tra la riuscita la Guerra è finita e le storiche Vacanze dell’83, non allontanandosi troppo dal compitino cover dei Pulp, ma che ci sta sempre in un baualbum e che solo per le intenzioni va premiato.
Che sempre sarà un buon biglietto da visita per chi disconosce.

Anche perché lo spettacolo non si fa attendere: il Liberismo ha i giorni contati è una delle canzoni piu’ belle dei Baustelle, siamo ai livelli del Riformatorio, e se nomino il Riformatorio senza paura di bestemmiare già ho detto piu’ di tutto.
Una storia grottesca e di una ironia preziosa e indimenticabile. Intro di Rachele, chitarrone di Claudio, carte in tavola di Francesco: “Anna pensa di soccombere al mercato non lo sa perché si è laureata anni fa”.
Una marcia irresistibile, un crescendo tipico bau, nato dalle Vacanze '83, sublimato nella Moda e ancora piu’ spettacolare questa volta. Bianconi che dice Vede la fine in me che vendo dischi in questo modo orrendo è una stilettata anche a quelli (come me) che si sono scandalizzati al passaggio a major. O una stilettata a sé stesso.
Il mondo va avanti,dove sta il ridicolo? Nel ribellarsi o nel seguirlo?
Non lo so, non lo sappiamo, ma il mestiere di Bianconi è sempre stato solo quello di raccontare le storie sporche, le piccole debolezze e le pateticità dell’individuo, che erano provinciali in sadik, che sono sociali nei giorni contati del Liberismo.
Lasciamolo andare, il mondo. Che abbia il marchio di una multinazionale della musica o che porti una spilletta autoprodotta, non fa molta differenza, di fronte ad un pezzo tanto maiuscolo.

Pezzo cui segue l’Aeroplano, prima canzone dell’album unicamente cantata da Rachele, e siamo ad un’altra angolatura Baustelliana. L’aeroplano è una storia d’amore disperata, consumata, da primo posto a sanremo anni ’70, quando sanremo era davvero l’antologia sublime del pop italiano, con quell’orchestra triste e lo sfondo di una guerra nella voce soave e sussurrata, o disperata e alta di Rachele; un po' come prendere la canzone del parco e incubarla per darle vent’anni di esperienza in piu’. Cosa resta di noi? Un rottame di Volkswagen.

Baudelaire, invece, inno alla vita manifestante l’inutilità del suicidio (? – badate bene, il nome dell’album è amen, piu’ volte sentiamo nominare chiese, campane, déi. Qualcuno ha fatto confusione, reputando Bianconi un teocrate, invece questi déi sono sporchi come ogni personaggio Baustelliano) molto differente, poco assimilabile a qualsiasi altro ricamo mai ascoltato finora dalle parti di Montepulciano; l’elettronica Bau non è mai stata un marchio di fabbrica, eppure arrivo a sentirci Bowie addirittura, per lo meno nella parte iniziale. Non mi stupirei se nel prossimo album ci saranno pezzi simili… è una nuova angolazione pop dalla quale i Baustelle ha cercato di guardare.
Eccellendo, ovviamente.

E L, cantata in duetto, creature dallo spazio che si innamorano della purezza di Laura, crescendo orchestrale, atomi di tenerezza dei giorni qualunque, apre le porte ad un altro capolavoro, Antropophagus, addirittura citando Battiato in apertura e con un ritornello a due voci su un giro Pulp dalle rime indimenticabili sin dal primo ascolto, seguita da Panico! (A Lee), che si autodefinisce country e che invece è un falso: parte con giro baustelliano in salsa country, appunto, per poi crescere, pregio di quegli ultrarrangiamenti solo apparentemente sovraccarichi, per diventare un altro pezzo marchio di fabbrica; ancora un duetto, ed è una canzone che era nata "male", non mi convinceva, ed invece continua a crescere e a crescere.

Fino ad Alfredo.
Dimenticate Sergio, il Corvo Joe e tutte quelle cazzate.
Alfredo è una lezione di musica.
Il pianoforte sillaba insieme alla voce maledettamente meravigliosa di Bianconi la storia straziante del piccolo Alfredo, primo caso di comunione mediatica in Italia, lontanissimi ricordi della mia infanzia e le minacce di cadere nel pozzo fossi stato cattivo, la P2, Cossiga, la DC; terribilmente commovente, al milionesimo ascolto mi farà piangere ancora, il cielo d’estate che scompare, il bambino caduto. O spinto. Nessuno saprà. Misurare il vuoto dentro di sé.

Il vuoto, la Chiesa. Morire la domenica. I temi dei Baustelle, i ricordi dell’infanzia, dei provinciali bagni al fiume, dei sogni e dei turbamenti adolescenziali, delle sigarette al veleno, dei B-movie, sono presenti come mai, come solo nel sussidiario, perla solo fino a ieri irraggiungibile, sono senza filtro come una volta. Lasciati correre via. Non m’importa che il cd lo compreranno le darkobese, stavolta: sono cose così profonde, così impossibili da comprendere a chi non le ha vissute profondamente, a chi non ha bramato tanto perché tornassero, che si manterranno immacolate in chi, come me, li ama da sempre e principalmente per questi temi trattati così nudamente, originalmente, senza vergogna, anzi, imponendo la sublime estetica di questa vergogna. Nonostante dischi d’oro, platino o quel che verrà mai.

Il Brasile lo invento, diceva Bianconi tempo fa, e finisce per inventarlo Rachele, che inventa musica e canta in solitario Dark Room, una bossa intervallata da un altro ritornello riuscito, cui segue la bellissima l’Uomo del Secolo, ai livelli del Liberismo e di Antropophagus, una continua melodia, un’altra canzone da Pulp maturi, un crescendo continuo, un manifesto Bau convincentissimo. La ricetta perfetta dell’angolazione piu’ classica.

Non una sbavatura, non un errore, in quindici pezzi perfetti, La vita va ha un sapore anni 80 di un altro film baustelliano, di un’altra angolazione, con Rachele che raggiunge l'intensità piu’ profonda; l'arrangiamento caricato troppo tra le due strofe forse destruttura la canzone che riprende peró il filo nel crescendo seguente, come sempre ben spalleggiato dalle melodie dell'ormai irrinunciabile orchestra.

Andarsene così passa in fretta, ché presto arriva il pezzo manifesto, l’arrivederci alle prossime puntate, al prossimo album, alle prossime meraviglie: Spaghetti western è il sogno realizzato dei Baustelle.
Una canzone che pare raccontare una scena di un film qualsiasi di Tarantino, ovviamente quindi di qualsiasi spaghetti western mai realizzato nella storia del cinema, pero' ambientato in un luogo di lavoro del sud italiano… Una scena tutta sabbia di deserto e sparatorie in un saloon, in salsa turbativa e bacchettante costumi prettamente baustelliana. Altro marchio di fabbrica, superfluo aggiungere.

L’ultima conferma sono i due pezzi strumentali: ricordo, quando ancora i Baustelle erano un gruppo di Montepulciano che non conosceva nessuno, e del resto come era indicato nel retro della Moda, che Bianconi e co. si dicevano disponibili a comporre colonne sonore per film: i due pezzi, No Stainway ed Ethiopia sono fortemente da B-movie italiano anni 70 –non a caso direttamente anteriore a Spaghetti Western il secondo-, sono la base per inseguimenti a mano armata o momenti di volgarissimo thriller. L’imposizione del marchio, ancora una volta.

I Baustelle sono tornati ad inventare, sono tornati ad eccellere. Restituendoci il sapore di quello che erano agli inizi, caricandolo di nuova maturità, facendolo crescere e crescere, rendendolo sempre piu’ unico, piu’ di quanto sempre è stato.

Quest’album è meraviglioso, raggiunge le vette del Sussidiario Illustrato della giovinezza, detta le regole del pop, erge i Baustelle in cima ad ogni altro gruppo musicale attivo al momento. Messi da parte gli eccessi di personalismo di Bianconi, messo da parte Massara (unico rimpianto: se siamo arrivati a questo punto, il merito è di certo anche del buon vecchio Fabrizio), messa da parte l’involuzione della Malavita, i Bau sono rinati e sono tornati.

Sarà difficile riuscirsi a superare, e non è cio’ che gli chiedo, questo disco mi basterà per anni e già sono entrati nel gotha, non mio, ma della musica in generale.
E se davvero riuscissero a farlo Bianconi avrà trovato dio: gli basterà guardarsi allo specchio.

Quest'album è divino, ne sono certo.
E noi c'eravamo.
Ci siamo sempre stati.

lunedì, febbraio 04, 2008

Attese premiate

Antoine scrive:
sai che ho già comprato i cd dei bau e degli odp
Antoine scrive:
sono in delirio
Antoine scrive:
mi sembra il 1996
Antoine scrive:
quando uscivano oasis e soundgarden insieme

domenica, febbraio 03, 2008

Vedo la fine


Sono in una stanza senza finestre, dopo aver passato una notte a Lisbona completamente immerso negli anni '80 (da like a vergin fino a Wild World versione originale) col neon che funziona ad intermittenza, dopo aver ricevuto, nel pomeriggio, l'ennesima conferma che la mia nazione d'origine è un posto di merda e che ci torneró solo per genitori e amici.
Poi uno si chiede cosa vuole di piu' dalla vita e cos'è la felicità.

Ho appena concluso l'acquisto del nuovo degli Offlaga Disco Pax, Bachelite, Ventrale la ascoltate qui. Bella ed originale come sempre, conferma come forse non ci aspettava, ché era ben difficile ripetersi dopo il Socialismo Tascabile, ed invece rieccoli qui, ben piu' maturi e con teati come sempre ispirati e narratori del piccolo mondo antico Fogazzaro che a loro appartiene e che nostro sarà appena lo rivivremo ancora, solo facendo girare il nuovo album nel lettore.

Come ispiratissimi sono stati i Baustelle con Amen.
Ovviamente ho già ascoltato (e comprato) il nuovo cd. Che è bellissimo, oltre ogni aspettativa, quello che non ci si sarebbe mai e dico mai potuti aspettare.
Azzardo che si superi la Moda del Lento.
Ma ne parlerò, e tanto, solo quando avrò in mano la mia copia originale.

Humpty Dumpty ha deciso di mettere online il proprio album, Q.B.
Download completo qui.
Ne ho parlato, senza lodarlo abbastanza, per quello che merita.
Opera somma, bellissima, geniale, varia appetibile in tutte le salse.
Il link rimarrá qui a lato.
Approfittatene, tra qualche anno questo disco sarà ritenuto uno dei piu' importanti della storia della musica italiana e potreste averne fatto parte.

Os amigos portugueses obviamente são convidados também a fazer o download completo deste album, um dos mais importantes da musica italiana e que acabará para ser influente na musica europea toda. Pois no link encontra-se o novo do Humty Dumpty, Q.B. Bom proveito, vale a pena.

Il quadro che vedete a destra è Mondi lontanissimi, del 2004, un'opera disegnata da Peppe Perrone, un amico ma sopratutto un artista vero, che, se fosse davvero cosciente dei suoi mezzi, dovrebbe abbandonare una terra alla quale la semplice appartenenza lo qualifica come terrone brutto e incolto (cosa che mi é davvero successa stasera, all'estero, e il terrone brutto e incolto non ha massacrato di botte l'offendente perché probabilmente è molto piu' signore e meno idiota, queste sono cose che o si dimenticano presto o si vomita per il resto della vita, ché sulla stupidità della xenofobia e dei luoghi comuni conviene sorvolare, e grazie a dio vivo lontano da quel posto orribile) e spostarsi dove pullulano le occasioni ed espongono pure i miei colleghi tristi contabili tra qualche giorno sposarti in fior di gallerie. Di sicuro non sfigurerebbe al lato di certe stupidaggini piu' che idolatrate senza merito che vedo in giro, anzi, di strada ne farebbe, e parecchia.
La tela mi ha colpito molto, perché io qui vedo la semplicità di un viso, di un'anima nera, stupita di fronte ad un mondo di troppi colori, di galassie lontane, incomprensibile e diverso. Dal quale si sente estranea.
Il profilo tecnico mi sembra altissimo, sopratutto le nuvole mi sembrano surrealmente amabili.
Ma il mio ruolo è semplocemente cercare di trasmettere le mie emozioni, principalmente a me stesso.